Le cure palliative in contrapposizione all’hospice
Dr Mandrola: Buongiorno a tutti. Sono John Mandrola di theheart.org su Medscape. Mi fa molto piacere avere con noi oggi la dottoressa Diane Meier che insegna presso la Icahn School of Medicine presso l’ospedale Mount Sinai ed è direttore del Centro di Advance Palliative Care.
Vuole spiegarci la differenza tra cure palliative e hospice?
Dr Meier: Questa è una domanda molto importante che mi è rivolta molto spesso. L’hospice è una modalità di cure palliative che si limita alla cura dei morenti ed è rimborsato da Medicare. I criteri di ricovero prescrivono che il paziente abbia [...]
[...] una prognosi inferiore ai 6 mesi e che due medici lo sottoscrivano, inoltre che il paziente abbia firmato un documento in cui dichiara che rinuncia al regolare rimborso di Medicare per il trattamento attivo della malattia.
Come si può immaginare, la maggior parte delle persone non arrivano mai all’hospice perché nessuno conosce l’esatta prognosi e, logicamente, i pazienti non vogliono rinunciare al trattamento della malattia. In questo paese, la durata media di permanenza in hospice è di 18 giorni, anche se potrebbero beneficiarne per 6 mesi. Tra i ricoverati, il 30% dei pazienti sopravvive meno di 1 settimana ed il 10% per meno di 24 ore.
Ovviamente, accettare l’hospice è una grande cosa. L’assistenza si trasferisce a casa. Le attrezzature, i farmaci e tutto ciò che garantisce il comfort sono gratuiti. L’intera équipe: assistente-sociale, cappellano, fisioterapista, medici, infermieri, opera al domicilio. È tanto, ma la maggior parte delle persone non l’ottiene mai, perché i criteri di ammissibilità sono limitanti.
A causa di questa limitazione, la grande maggioranza delle persone che hanno bisogno di cure focalizzate sulla loro qualità di vita; sul sollievo dai sintomi, dalla mancanza di respiro, dal dolore e dalla stanchezza; sul supporto per i loro familiari esausti e su un aiuto per capire cosa aspettarsi in futuro, non le ottiene. Invece, essi finiscono per chiamare il 911, rivolgersi al pronto soccorso, o all'ospedale ogni volta che hanno un problema.
Il campo delle cure palliative si è espanso a causa delle limitazioni poste da Medicare sull’hospice, per cercare di dare risposte alle persone che potrebbero vivere 10 anni o continuare ad essere curate attivamente. La maggior parte di questi pazienti hanno malattie croniche che progrediscono per molti anni, ma che comportano grandi sfide per la loro qualità di vita. Hanno sintomi sgradevoli e rappresentano un impegno per le loro famiglie. Le cure palliative sono cresciute, nel tentativo di fornire un livello aggiuntivo di supporto accanto al trattamento della malattia primaria fornito dagli specialisti.
Un ulteriore livello di supporto
Dr Mandrola: Voglio insistere su questo perché è il punto chiave: le cure palliative non significano passare a una diversa cura, vero?
Dr Meier: No, si collocano a fianco; rappresentano un ulteriore livello di supporto. Chiaramente, questi pazienti hanno urgente bisogno dell'esperienza e dell’approfondita conoscenza degli specialisti. Se ho uno scompenso cardiaco, vorrei essere curata da un cardiologo che sa veramente quello di cui il mio cuore ha bisogno.
D'altra parte, ho altri problemi. Potrei non avere abbastanza soldi. Ciò che la mia assicurazione rimborsa potrebbe rendere per me molto difficile permettermi i farmaci necessari. Potrei evitare alcuni trattamenti di cui ho bisogno a causa del denaro. Potrei avere un figlio alcolizzato che mi ruba il denaro. Potrei avere difficoltà a leggere o capire l'inglese e le istruzioni che mi vengono date. Potrei non capire che non dovrei mangiare pizza e cibo cinese, anche se mi è stato detto di non farlo.
Perciò, i pazienti hanno bisogno di entrambe le cose. Hanno bisogno di un approccio di tipo olistico per la loro condizione socio-economico, la povertà, la mancanza di comprensione, la mancanza di alfabetizzazione o la violenza nella comunità o a casa. Inoltre, hanno bisogno dell'esperienza dello specialista in questo caso, il cardiologo.
L’effetto delle cure palliative sulla sopravvivenza
Dr Mandrola: È così. Stavamo parlando in precedenza di come sia possibile che, visto che le cure palliative affrontano queste componenti non eliminabili, effettivamente migliorino la sopravvivenza nei pazienti con uno scompenso cardiaco. Cosa ne pensi?
Dr Meier: I dati confermano che le persone che beneficiano delle cure palliative, contemporaneamente al trattamento della malattia, in realtà vivono più a lungo rispetto ai pazienti che ricevono solo il trattamento per la patologia. Ci sono attualmente 6 o 7 studi, e la maggior parte sono stati effettuati su pazienti oncologici. A Londra uno dei pazienti con enfisema ha mostrato una migliore sopravvivenza. Uno studio randomizzato controllato è attualmente in corso presso la Duke sulla concomitanza precoce delle cure palliative con la migliore terapia cardiaca, per vedere quale sarà l'impatto sulla qualità della vita, l'utilizzo e la sopravvivenza. Se si guardano le sperimentazioni cliniche per altre patologie, la sopravvivenza è migliore.
Dr Mandrola: I cardiologi amano i meccanismi e c'è un meccanismo attraverso il quale le cure palliative aiuterebbero perché agiscono sugli altri problemi, quelli non cardiaci. Ma forse anche su quelli cardiaci.
Dr Meier: Sicuramente. Ad esempio, potrebbe esserci un paziente e una famiglia che non capiscono che i farmaci vanno presi ogni giorno, o che quando finiscono, è necessario rifare la prescrizione, o che gli alimenti con molto sale sono estremamente rischiosi per la funzionalità cardiaca. Se si dispone di un’équipe che va a casa e siede con il paziente e la famiglia, chiedendo se capiscono come va gestita la malattia, e riesce ad aiutarli a capire che la buona gestione dipende da loro, si ottengono migliori risultati, per ovvie ragioni.
Un'altra parte fondamentale, se si pensa ai meccanismi, è che chi vi ascolta può non essere consapevole del fatto che il ricovero in ospedale è la terza causa di morte negli Stati Uniti. Chiunque abbia lavorato in un ospedale sa perché. Gli ospedali sono estremamente pericolosi, ci sono troppe persone, troppe possibilità di errore, troppi rischi di infezioni resistenti agli antibiotici, troppe occasioni di cadere di notte o di diventare confusi.
Il fatto che le équipe di cure palliative aiutino i pazienti di evitare ricoveri inutili è probabilmente il meccanismo principale per una migliore sopravvivenza. Ci sono anche dati che suggeriscono che le cure palliative riducano notevolmente l'incidenza della depressione maggiore. Qualsiasi studio l’abbia esaminato ha trovato che la depressione è un predittore indipendente di mortalità. Questo è vero non solo per lo scompenso cardiaco, ma anche nella demenza, il cancro, la fragilità, in ogni malattia esaminata. La depressione uccide. La capacità di affrontarla, sia con i farmaci, sia con il sostegno sociale ed emotivo, è probabilmente anch’essa un predittore.
Infine, se si è costantemente terrorizzati dal fatto che ci si sente soffocare e non in grado di respirare, se si ha costantemente la sensazione che lasciare la sedia per raggiungere il bagno sia una sfida più grande delle proprie forze, se ci si sente senza speranza e si ha paura, il livello di ansia, lo stress e le catecolamine associate ad una condizione infiammatoria non aiutano.
Le cure palliative basate sul bisogno indipendentemente dalla prognosi
Dr Mandrola: Sicuramente. Una delle sfide con i pazienti con insufficienza cardiaca avanzata è che l'insufficienza cardiaca è un po’ diversa dal cancro. Sembra che ci siano più attacchi e poi riprese. Puoi parlarne?
Dr Meier: L'insufficienza cardiaca è un grande esempio del perché la prognosi non dovrebbe avere nulla a che fare con l'ammissibilità alle cure palliative. Non abbiamo idea di quando un paziente con scompenso cardiaco stia per morire. Potrebbe - o meno - riprendersi per la 14a volta dopo un attacco. Non lo sappiamo. Facciamo tutto il possibile per aiutarlo a riprendersi, ma se questa volta contrae un’infezione resistente, non c’è niente da fare.
Se dovessimo aspettare di avere una chiara prognosi per decidere quando un paziente ha bisogno di cure palliative, quelli con insufficienza cardiaca non le avrebbero mai. Devono basarsi sul bisogno, non sulla prognosi. Di certo le persone con lo scompenso cardiaco possono vivere per molti, molti anni, ma hanno tutta una serie di disturbi legati alla malattia. La malattia tende a prendere il sopravvento e va gestita. I membri della famiglia devono smettere di lavorare e le famiglie finiscono per spendere tutti i loro risparmi, tra cui i risparmi per il college dei figli, per gestire la malattia, a causa del nostro sistema sanitario. Il supporto per le persone che si trovano in questa condizione è meglio non solo per i pazienti e le famiglie, ed è chiaramente la cosa giusta da fare, ma riduce notevolmente i ricoveri inappropriati e non necessari.
Le competenze chiave nella comunicazione con i pazienti
Dr Mandrola: Puoi dare ai cardiologi qualche suggerimento su come parlare ai pazienti per conoscere le loro preferenze o per descrivere loro i due percorsi in cui potrebbero venire a trovarsi quando hanno uno scompenso cardiaco?
Dr Meier: Per me è sorprendente che i medici facciano 4 anni di scuola medica, 3 anni di internato e molti anni di formazione con borse di studio, senza essere mai stati addestrati a questi colloqui che non sono certo facili, e nessuno nasce sapendo come condurli.
Le competenze chiave richiedono l’uso di domande aperte e l'ascolto.
Una delle cose più difficili per i medici è stare tranquilli e ascoltare. Eppure, è la competenza basilare che dobbiamo acquisire. La pratica aiuta, si può imparare. Sembra che non si debba lasciare spazio al silenzio, se si vuole aiutare. Ma in realtà, l'ascolto è il modo di aiutare, per capire veramente cioè i sentimenti ed il comportamento del paziente.
Ad esempio, se incontriamo un paziente che ha avuto il 4° attacco negli ultimi 12 mesi ed e stanno diventando più frequenti ed è sempre più difficile prevenirli con la terapia in corso, è importante iniziare dicendo: "Mi fa piacere che sia stato dimesso dall'ospedale la scorsa settimana. Se non le dispiace, parliamo un po'di quello che pensa sia accaduto. Come interpreta ciò che è avvenuto? "
Dopo la domanda bisogna tacere e ascoltare. Potrebbe dirvi: "So che la mia insufficienza cardiaca sta peggiorando. So che lei sta facendo del suo meglio, dottore. Ho preso tutte le mie medicine, ma succede sempre più spesso". Oppure se dice: "Lo spirito mi punisce per qualcosa che ho detto o fatto" si capisce che la situazione è completamente diversa. È essenziale capire il loro pensiero e quale sia la loro comprensione della situazione.
Ho anche l’abitudine di chiedere ai pazienti che cosa gli hanno detto i loro altri medici, perché quasi sempre sono stati visti da 10 medici ospedalieri differenti, da 20 specialisti, dal consulente per le malattie infettive. Hanno visto molti, molti medici che molto probabilmente hanno detto cose diverse su cosa aspettarsi. "Che cosa le hanno detto gli altri medici?" È anche molto importante capire che, il più delle volte, quello che è stato loro detto era contraddittorio.
E poi si chiede: "Le sta bene se le dico quello che penso stia succedendo al suo cuore adesso?".
Dr Mandrola: Certo questo è insolito. Chiedere il permesso è una cosa che ho imparato tardi nella mia carriera.
Dr Meier: Chiedere il permesso è, prima di tutto, una mossa di avvertimento, per dire al paziente che il medico è in procinto di dare alcune informazioni importanti, e permette alle persone di essere preparate e attente.
Dr Mandrola: Che cosa dice la maggior parte della gente?
Dr Meier: Rispondono: “Benissimo. Sì, certo. Mi piacerebbe parlarne". Ma vi è una piccola frazione di pazienti, e questo si verifica in certe culture più spesso che in altre - che credono di non essere loro a dover prendere decisioni. Il figlio maggiore dove occuparsene e potrebbero rispondere: "No, non voglio parlarne".
La reazione del medico non deve essere quella di costringerli ad essere informati. Se agisce contro la loro volontà perde la fiducia per sempre. Piuttosto, deve chiedere con chi può parlare, familiare o meno, della loro malattia, in modo che si possa provvedere per il loro bene.
Discutere la prognosi
Dr Mandrola: Come parla della prognosi con i pazienti? Ci sono parole speciali?
Dr Meier: Durante uno di questi colloqui si può dire, per esempio: "Come abbiamo sperimentato insieme, il suo cuore è debole ed è per questo che continua ad andare con frequenza in ospedale. Purtroppo, penso che sia una situazione progressiva". E poi sto zitta. Questa è la cosa più difficile per i medici.
Lascio che l’informazione penetri. Il paziente già percepisce il suo stato, anche se non ne è perfettamente consapevole. Vive le sensazioni, ma il medico gli sta confermando ciò che già sa. Lascio penetrare l’idea, taccio. Quello che sembra un tempo lunghissimo, in realtà sono 10 o 20 secondi. Aspetto che parli lui per primo e potrebbe dire qualcosa tipo: "Quanto tempo pensa che io abbia?". E ovviamente, potrei pensare che mi sta chiedendo la prognosi.
Dr Mandrola: Ma potrebbe non essere così.
Dr Meier: Potrebbe, ma magari sta chiedendo fra quanto tempo penso che torni in ospedale o quanto manca a che arrivi in cima alla lista dei trapianti. "Quanto tempo devo aspettare prima che decidiate di applicarmi quell’aggeggio (dispositivo di assistenza ventricolare)?"
Se non so che cosa sta chiedendo, potrei rispondere alla domanda sbagliata. Quando la persona chiede: "Voglio sapere quanto ho da vivere" il medico deve effettivamente rispondere alla domanda, non dicendo: "Nessuno lo sa, è nelle mani di Dio. È del tutto imprevedibile", perché ciò non è vero.
Quello che posso dire è: "In media, le persone con insufficienza cardiaca possono vivere per diversi anni a questo stadio della malattia. La prossima volta che ha uno scompenso cardiaco grave, potrebbe morire, oppure andare avanti così per diversi anni. C’è molta variabilità nell’insufficienza cardiaca, ma la media è di diversi anni. L’obiettivo è cercare di evitarle di dover tornare in ospedale, gestendo al meglio il suo cuore".
Dr Mandrola: Quindi è circa: "le persone nella sua situazione", o qualcosa di simile?
Dr Meier: Sì, è quello che dico di solito. "In media, le persone come lei..."
La media dà alla gente un punto di riferimento. Posso dire: "In media, si tratta di pochi anni, ma alcune persone vivono molto meno se non riusciamo a gestire la situazione o se sopravviene una brutta infezione. Altri vivono più a lungo. Dobbiamo lavorare sodo per farla stare dalla parte della sopravvivenza più lunga".
Cosa serve? Dà forma all’idea, infatti le persone con scompenso cardiaco, molto spesso, non sanno di avere una malattia terminale. Non sanno che moriranno a causa sua e non lo capiscono perché la malattia non ha le stesse caratteristiche del cancro. La parola "cancro" significa morte per le persone, ma non la malattia di cuore. Anche se è la principale causa di morte nel nostro paese, non è percepita come causa di morte. Lo stesso vale per la malattia di Alzheimer.
È molto importante per le persone capiscano che, a parità delle altre condizioni, questa malattia sarà la causa della loro morte.
Senza questa informazione, come possono trascorrere il resto della loro vita? Come possono prendere in considerazione il fatto che non hanno parlato a loro figlio per 30 anni? Forse desiderano sbloccare la situazione e ricontattarlo. O desiderano lasciare in ordine i loro affari? O decidere come trascorrere il loro tempo?
Le persone hanno diritto a tali informazioni, ed è una fase di sviluppo importante nella vita di una persona, come vivere prima di morire. Se il medico non dà questa informazione, impedisce loro di scrivere quel capitolo come vorrebbero. Ho avuto tanti pazienti che, una volta capito che cosa stava accadendo, hanno migliorato deliberatamente una serie di relazioni e vissuto per lungo tempo. Erano cose che pensavano di poter affrontare in seguito, ma in realtà dovevano affrontarle ora.
Dr Mandrola: È come ridare un’anima alla cura dell’insufficienza cardiaca.
Dr Meier: Esattamente.
References
- Higginson IJ, Bausewein C, Reilly CC, et al. An integrated palliative and respiratory care service for patients with advanced disease and refractory breathlessness: a randomised controlled trial. Lancet Respir Med. 2014;2:979-987.
- Mentz RJ, Tulsky JA, Granger BB, et al. The palliative care in heart failure trial: rationale and design. Am Heart J. 2014;168:645.e1-651.e1.
- Sokoreli I, de Vries JJ, Pauws SC, Steyerberg EW. Depression and anxiety as predictors of mortality among heart failure patients: systematic review and meta-analysis. Heart Fail Rev. 2016;21:49-63. Abstract