Era il 9 settembre 2007 all’una di notte. Abbiamo trascorso quarantasette anni di vita insieme di cui gli ultimi nove sono stati un calvario alleviato in parte da un servizio di assistenza domiciliare che è intervenuto a casa e poi con il ricovero, solo gli ultimi giorni, presso l’hospice gestito dalla stessa organizzazione.
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Per me e mia moglie sono stati degli angeli, le persone di questo ente, volontari e non, e così li ho definiti in una lettera che ho scritto come ringraziamento, dove ho inoltre definito arcangelo chi li guida in questo duro lavoro. In quella notte, quando mia moglie ha raggiunto il riposo eterno, per me è iniziato un duro cammino nel lutto e nella solitudine. |
Nonostante la presenza dei figli e dei nipoti, la solitudine era dentro di me, come una belva che mi azzannava alla gola e allo stomaco fino a sfinirmi ogni volta che rientravo a casa e si chiudeva la porta dietro di me.
Gli ultimi nove mesi di mia moglie sono stati scanditi da alcune date e queste, rimaste scolpite nella mia mente, riportavano in vita giornalmente il mio dolore e il mio tormento facendomi entrare in crisi per i tre anni successivi alla sua scomparsa
Queste crisi mi hanno portato anche al limite di farmi del male, ma ora che credo di esserne uscito, so che è stata la mia Giovanna a non permetterlo, sembrava suggerendomi di chiedere aiuto, ma io non sapevo a chi. Otto giorni dopo il funerale, in piena crisi, ero a casa con le finestre e la porta finestra del balcone aperte, ed una strana attrazione verso quel balcone, ma ogni volta che mi avvicinavo un soffio di vento faceva volare per terra un foglietto che, per raccoglierlo e rimetterlo sul tavolo, distraeva le mie intenzioni, una volta, due volte fino a quando mi accorgo che sul foglietto c’era un numero di telefono, lo chiamo e mi risponde quello che mi piace definire l’arcangelo, che mi tranquillizza e m’invita ad andarla a trovare all’hospice. |
All’hospice tutti mi conoscevano e avevano una cura particolare nei miei confronti, mi hanno affidato ad una psicologa, ho fatto arte terapia e sono stato in un gruppo di auto mutuo aiuto.
Dopo tre anni spero e credo di essere uscito da questa depressione, anche se vivo una normalità che definisco di “basso profilo” perché dopo questa esperienza il rumore o il baccano di una festa sono per me un fastidio.
La sera mi piace guardare un po' di sport in televisione, solo quello. Se non c’è sport spengo e mi piace stare in silenzio ad ascoltare fruscii e rumori che solo il silenzio totale ti fa sentire. Prima di coricarmi ci sono le preghiere che sono lunghe perché devo ricordare tutte le persone che mi vogliono e mi hanno voluto bene. |
È con grande rammarico, ma preferisco non dire il nome dell’ente e delle persone presenti allora, ma so che se qualcuno a conoscenza della mia storia dovesse leggere questo mio scritto capirà di chi ho parlato… vero, mio arcangelo?
Da questo percorso ho tratto molti insegnamenti, ma voglio soprattutto portare un messaggio positivo a chi sta vivendo un periodo di sofferenza, di non aver paura o vergogna a chiedere aiuto.
Un appello ancora più accorato lo faccio a tutti coloro che fanno assistenza, quale che sia il servizio in cui lavorano, pubblico o privato, di aiutare sì il malato, ma ancor più di aiutare il parente che vede andarsene una parte di sé e rimane con quella solitudine che lo stritola come fosse un serpente. Quando tutto questo ha avuto inizio pesavo 108 chili, oggi ne peso 68, ho una certa disabilità che però non mi impedisce di mantenere i rapporti e di andare a trovare le persone che ho conosciuto durante il mio percorso e che non hanno la possibilità di muoversi, per dare il mio contributo portando conforto e solidarietà finché portò. A queste persone voglio dire ancora una volta, fatevi aiutare, non abbiate vergogna di chiedere aiuto, perché la depressione e la solitudine sono come due bestie feroci. |
Scrivendo mi sono dilungato un po’, so che avrei dovuto essere più breve e, soprattutto, non piangere tanto, tanto come ho fatto.