La sedazione palliativa dei pazienti terminali comporta una serie di problematiche mediche, etiche e giuridiche. Per assistere i medici che forniscono questo trattamento ai pazienti che non possono essere aiutati in altro modo, l’Associazione Medica Norvegese ha preparato delle linee guida nel 2001. Queste sono state successivamente riviste e adottate dal Consiglio nazionale nel giugno 2014.
La forma di trattamento denominato “sedazione palliativa” è emersa nel 1998, con il cosiddetto “caso Bærum”. Un medico dell’ospedale Bærum aveva accusato un collega di aver [...]
[...] illegalmente praticato l'eutanasia - allora denominata con il termine improprio di “eutanasia attiva” - dopo che un malato di cancro che aveva gravi dolori era stato sedato fino alla morte. La questione era stata denunciata alla polizia, ma nel dicembre 2001, il responsabile della pubblica accusa chiuse il giudizio per “insufficienza di prove”. Il caso ha dato luogo ad un dibattito intenso e di vasta portata e ha anche comportato gravi conseguenze per alcune persone. A seguito della massiccia pressione dei media, Anne Alvik, direttore della sanità, ha deciso di dimettersi e molti medici sono diventati riluttanti a fornire cure palliative della necessaria intensità per paura di essere accusati di compiere l'eutanasia.
In seguito a ciò, l’Associazione Medica Norvegese ha preparato delle linee guida dettagliate per la terapia che divenne nota come “sedazione palliativa per il morente”. L’obiettivo era quello di garantire che il piccolo gruppo di pazienti che sono soggetti ad una sofferenza intollerabile, nonostante il trattamento sintomatico palliativo, potesse avere accesso a questa terapia in un quadro che sia clinicamente, eticamente e giuridicamente giustificabile.
Un punto chiave era che la vita non dovrebbe essere abbreviata da questo trattamento, ma la morte del paziente avviene per la sua condizione patologica.
I pazienti devono essere attentamente monitorati per quanto riguarda l'efficacia e gli effetti collaterali del trattamento, che presuppone l'ospedalizzazione. Questa terapia è ormai ampiamente riconosciuta, a livello internazionale, come una misura necessaria in situazioni estreme, anche dall’Associazione Medica Mondiale.
Dopo le prime linee guida
Il gruppo di lavoro che ha preparato le linee guida del 2001 dava per scontato che avrebbero avuto bisogno di revisione, in base al feedback che giungeva dai medici. Ad esempio, è stato osservato che alcuni pazienti con sintomi intrattabili non rientrano nel campo di applicazione delle linee guida, dal momento che hanno un’attesa di vita superiore alle 2 settimane.
Un nuovo gruppo di lavoro, autore anche di questo articolo, è stato nominato dal consiglio nazionale dell’Associazione Medica Norvegese nel 2013 per rivedere le linee guida, e l’aggiornamento è diventato operativo nel mese di giugno 2014.
Il lavoro è iniziato raccogliendo informazioni da un certo numero di medici sulla prassi prevalente in questa forma di trattamento. Si voleva verificare se le linee guida erano state percepite come troppo restrittive nella sedazione palliativa utilizzata, in particolare, per i pazienti oncologici. È anche stata sollevata la questione se i sintomi mentali, alla fine della vita debbano essere accettati come unica indicazione. Inoltre, si è indagato su quali elementi avessero bisogno di una revisione, e se la sedazione palliativa potesse essere eseguita anche dai servizi sanitari comunali.
Confusione sulla definizione?
La definizione di questa forma terapeutica è estremamente importante: “per sedazione palliativa si intende la depressione farmacologica del livello della consapevolezza per alleviare le sofferenze che non possono essere abolite in nessun altro modo”. Ciò comporta l'uso di farmaci che riducono il livello di coscienza di un paziente vicino alla morte e spesso il trattamento deve continuare fino al sopraggiungere della morte.
La sedazione acuta in caso di un dolore imprevisto e la sedazione durante la ventilazione ed il trattamento chirurgico non rientrano in questa definizione e neppure la sonnolenza o il ridotto livello di coscienza che si verificano nei trattamenti sintomatici con tranquillanti e analgesici.
Questa è una pratica medica consolidata ed eticamente non problematica. Solo la sedazione profonda e duratura richiede linee guida etiche, poiché è particolarmente impegnativa ed invasiva.
Domande eticamente cruciali
Una domanda essenziale è se si debba sempre tentare di risvegliare il paziente.
Si propende per il non farlo quando è ovvio che la sofferenza durerà fino al termine della vita.
Un'altra questione è se l'ansia profonda e l’angoscia debbano, di per se stesse, essere considerate come indicazioni.
Si ritiene che i sintomi mentali gravi e refrattari alla terapia ed il delirio con estrema angoscia e confusione, per i quali si sia tentato di trattare le eventuali cause fisiopatologiche, potrebbero essere un'indicazione.
Se i pazienti che si prevede non abbiano più di alcune ore o giorni di vita vengono “addormentati” in modo profondo e continuativo, vi è un crescente rischio che le complicanze possano abbreviare loro la vita.
Dal punto di vista terapeutico, tali potenziali effetti collaterali pongono dei problemi.
Un terzo quesito è, quindi, se può essere giustificabile iniziare la sedazione palliativa nei pazienti refrattari alle terapie, ma che non sono nell’imminenza di morire.
Il gruppo di lavoro ritiene che vada eseguita, dal momento che la sofferenza totale, in questi casi, è maggiore.
Il dovere clinico ed etico di alleviare le sofferenze incide pesantemente, per questo motivo si è deciso di modificare la dicitura delle linee guida da “morente” ad “al termine della vita”.
Nei pazienti con maggiore aspettativa di vita in sedazione palliativa, il monitoraggio è determinante, infatti Il medico responsabile del trattamento deve prendere tutte le precauzioni possibili per assicurarsi che il paziente non muoia per delle complicazioni derivanti dalla sedazione.
La competenza, il monitoraggio e la comunicazione con il paziente (se possibile) ed i parenti prossimi sono essenziali quando si procede alla sedazione palliativa.
Le linee guida riguardano anche l'infusione di liquidi. Riguardo a ciò si ritiene che non sia normalmente necessario se il paziente aveva già smesso di bere prima che iniziasse la sedazione. D'altra parte, se il paziente ingeriva liquidi, indipendentemente dalla quantità, o li riceveva per via parenterale prima dell'inizio sedazione palliativa, l’infusione parenterale deve essere eseguita. Il dosaggio dei liquidi deve essere adattato alle esigenze di base del paziente e continuamente rivalutato. Ciò vale anche per tutte le forme di trattamento farmacologico.
La sedazione palliativa è una modalità terapeutica che deve essere utilizzata solo in casi estremi e in condizioni specifiche, giustificabili in termini medici, etici e giuridici. Un abuso terapeutico, aumentando volutamente ed in modo sproporzionato il dosaggio del farmaco, accelera il processo di morte. Ciò equivale ad una “lenta” eutanasia, se il paziente ha richiesto tali sovradosaggi. Se non c’è stata tale richiesta, ne deriverà un omicidio medico involontario o volontario, a seconda che il paziente fosse in grado o meno di fornire il consenso. Naturalmente, è essenziale evitare queste tre forme, deliberate ed illegali, di accelerare la morte.
Le esigenze del paziente devono essere il principio guida, quindi la competenza professionale, l'esperienza ed una corretta valutazione medica sono della massima importanza.
Questo influisce anche sul fatto che la terapia possa essere somministrata anche in strutture assistenziali o al domicilio del paziente.
Inoltre, se si ritiene necessario discostarsi dalle linee guida, tale decisione deve essere discussa con la dirigenza e documentata.
La raccolta di pareri ha evidenziato un ampio sostegno nei confronti delle linee guida, anche se sono emerse alcune osservazioni critiche. Alcuni temevano che la modifica apportata nella dicitura potesse rischiare di scivolare verso l'accettazione dell’eutanasia. Ma questa obiezione è infondata, per i seguenti motivi: al contrario della sedazione palliativa, l'eutanasia non è una forma di terapia. Anche se la sedazione può comportare un rischio di morte prematura, questa non sarà mai intenzionale, a condizione che siano rispettate le linee guida.
Nel caso dell'eutanasia, invece, la morte prematura - o più correttamente, la morte più veloce possibile - è la vera motivazione.
Ed ora che cosa manca?
Moltissime modifiche che sono state apportate alle linee guida restano “segreti ben nascosti”.
L’aggiornamento delle linee guida rappresenta un supporto per i sanitari che devono gestire casi particolarmente difficili, in modo che possano fornire la terapia ottimale - eticamente e giuridicamente giustificabile - ai pazienti al termine della vita. Ciò presuppone che le organizzazioni professionali facciano la loro parte per diffondere gli aggiornamenti a livello clinico.
vai all'articolo originale: >> Palliative sedation at the end of life – revised guidelines Nr. 3 – 10. februar 2015 Tidsskr Nor Legeforen 2015; 135:220 – 1 R Førde