l La situazione
Le cure palliative sono state definite dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come "la cura globale attiva dei pazienti la cui malattia non risponde alle terapie curative. Il controllo del dolore, degli altri sintomi e dei problemi psicologici, sociali e spirituali, è di primaria importanza. L'obiettivo delle cure palliative è il raggiungimento della migliore qualità di vita per i pazienti e le loro famiglie ".
Un altro modo di considerare le cure palliative è legato al concetto di una "buona morte", priva del dolore evitabile e di sofferenza per il paziente e la sua famiglia.
A prima vista, questa definizione sembrerebbe avere poco a che fare con le cure intensive tipiche della medicina d’urgenza. Infatti, mentre il 60% dei pazienti muore a casa negli Stati Uniti, si ritiene che solo [...]
[...] il 35% dei pazienti voglia morire a casa.
Di conseguenza, molti di essi, che sono malati terminali, vengono ricoverati in terapia intensiva. Possono farlo quando la morte è imminente, per il trattamento di una patologia acuta che si sovrappone alla malattia esistente o per il controllo dei sintomi, soprattutto del dolore.
Questo articolo si concentra sul controllo dei sintomi.
l Sintomi e fisiopatologia
Il dolore è il sintomo più diffuso tra i pazienti che ricevono cure palliative. La fisiopatologia varia in base alla localizzazione anatomica del dolore e al decorso della malattia di base. In un ampio studio su pazienti oncologici affidati alle cure palliative, circa il 55% del dolore era di origine somatica, mentre il restante era quasi equamente diviso tra cause viscerali e neuropatiche.
Ad esempio, i pazienti con tumore avanzato possono avere mal di testa causato dall’aumento della pressione intracranica dovuta a masse tumorali o ad infiammazione. Il dolore osseo è il più comune dolore dovuto al cancro ed è causato dall’attività osteoblastica o osteolitica; può provenire direttamente dall’osso (invasione diretta con microfrattura, distorsione del periostio) o dalla compressione di una radice nervosa o dallo spasmo muscolare nella zona della lesione. Le principali fratture patologiche possono verificarsi nel sito del tumore primario o metastatico. Il dolore addominale nei pazienti oncologici può essere causato da masse solide dell’organo che causano una distensione capsulare. L’ascite o la massa tumorale possono portare a una dolorosa distensione addominale e la stipsi è comune. Il dolore toracico è più spesso generato dall’invasione tumorale del tessuto osseo o di altre strutture con sensibilità per il dolore.
La fisiopatologia del dolore nei pazienti non oncologici seguiti dalle cure palliative è in funzione della specificità e della posizione anatomica della patologia di base.
La mancanza di respiro in pazienti in cure palliative è particolarmente comune nel caso di cancro polmonare o di insufficienza cardiaca congestizia avanzata. Il 65% dei pazienti affetti da cancro al polmone e quasi tutti i pazienti con insufficienza cardiaca sperimentano la dispnea.
Nei pazienti con cancro del polmone è spesso presente una sottostante malattia polmonare ostruttiva cronica (BPCO), che può causare la dispnea. Altre cause specifiche includono il versamento pleurico o pericardico o il tamponamento cardiaco, la sindrome della vena cava superiore, l’embolia polmonare e la polmonite. Inoltre per la progressione della malattia, i pazienti con insufficienza cardiaca possono anche avere un versamento pleurico e un versamento pericardico o un tamponamento. Ciascuno di questi può aggravare la dispnea. Anche l’anemia grave può causare dispnea, ma l'anemia cronica può essere molto ben tollerata in questa popolazione.
I sintomi gastrointestinali sono comuni anche nella popolazione delle cure palliative. Anoressia, nausea e vomito sono i sintomi più comuni nel fine vita e si verificano nel 62% dei malati oncologici terminali. Nausea e vomito si presentano spesso anche in altre malattie terminali come l'insufficienza cardiaca congestizia, la malattia renale allo stadio terminale e l'AIDS.
Le eziologie più frequentemente citate nei pazienti oncologici sono anomalie chimiche (ad esempio, metaboliche, da farmaci, da infezioni) nel 33% dei casi, un ridotto svuotamento gastrico nel 44%, e cause viscerali (ad esempio, occlusione intestinale, emorragia gastrointestinale, enterite, stipsi) nel 31 %. Uno studio su 40 pazienti in un reparto di cure palliative ha identificato 59 eziologie reversibili per i sintomi gastrointestinali, dove i farmaci (51%) e la stipsi (19%) erano le più comunemente presenti. L’ipercalcemia è una causa di stitichezza abituale nei pazienti con cancro. La bocca secca è un sintomo fastidioso che spesso può essere correlato ai farmaci.
L’ansia e la depressione sono i sintomi psicologici più comuni nei pazienti con malattie terminali.
l Frequenza
A causa della natura frammentata della sanità negli Stati Uniti, valutare il numero dei pazienti in cure palliative è difficile. Una stima attuale dei pazienti assistiti da Medicare in hospice e cure palliative è di più di 500.000. Un'altra stima è che, nel 2000, circa il 20% dei pazienti morti negli Stati Uniti era in regime hospice.
Nel Regno Unito, nel 2005-2006, circa 65.000 nuovi pazienti sono stati inseriti in programmi di cure palliative. Secondo una stima, circa il 70% dei decessi nel mondo sviluppato sono preceduti da una condizione che rende la morte prevedibile in un futuro prossimo.
l Morbilità e mortalità
Il cancro è la diagnosi prevalente tra i pazienti in cure palliative. Il criterio tradizionale di ammissibilità per l’hospice negli Stati Uniti include una sopravvivenza stimata di 6 mesi o meno; questo spiega la preponderanza dei pazienti oncologici nelle cure palliative. D’altronde, la durata della vita può essere più facile di determinare per il cancro che per alcune altre malattie terminali come la BPCO, l’insufficienza cardiaca congestizia, la demenza grave e l’ictus. Per molti pazienti sono solo necessarie cure palliative precoci nel corso di una malattia incurabile e fatale, perché possono sopravvivere per anni anziché 6 mesi o meno.
l Razza ed etnia
Uno studio del 2006 sulla popolazione della California ha evidenziato che i punti di vista sul diritto a morire del paziente variano in modo significativo in base all’etnia, i bianchi molto più disposti a permettere ad una persona cara di morire rispetto a qualsiasi altro gruppo etnico, quali gli afro-americani, gli asiatici ed i sudamericani. Una volta che i pazienti o i familiari richiedono solo la palliazione, le cure mediche non differiscono in base all’etnia. Possono anche esistere differenze nelle modalità di manifestare il dolore nei diversi gruppi culturali ed medici dovrebbero tenerne conto.
Un articolo di Smith ed altri fornisce un’esauriente esposizione sulle questioni culturali di cui i medici dovrebbero essere consapevoli mentre assistono malati terminali di origine latina, tra cui varie raccomandazioni su come utilizzare in modo efficace gli interpreti e le strategie universali per le comunicazioni sulla salute del paziente.
l Storia
I pazienti in cure palliative hanno comunque una diagnosi di malattia terminale. L'obiettivo da affrontare è quindi diverso rispetto agli altri pazienti in ambiti di cura acuta. Nuovi sintomi, che possono indicare un ulteriore avanzamento della malattia, devono essere ricercati al momento opportuno. Spesso, però, lo scopo della visita è essenzialmente il sollievo di sintomi di lunga data che sono progrediti o scarsamente controllati. Consultare la storia medica del paziente ed i medici curanti, quando possibile, è spesso prezioso per conoscere dettagli sui sintomi precedenti, gli esami diagnostici e le terapie.
Con l'eccezione del dolore, vi è una scarsa concordanza tra i questionari sui sintomi compilati dal paziente e l’anamnesi registrata nella cartella medica. Pertanto, è spesso opportuno indagare specificamente su altri sintomi quali anoressia, incontinenza, sintomi gastrointestinali, sintomi respiratori o sul livello funzionale, al fine di individuare meglio le esigenze del paziente.
l Dati fisici
L'esame fisico dei pazienti in cure palliative dovrebbe basarsi sulla conoscenza delle malattie preesistenti e dei sintomi presenti. Come per l’anamnesi, l'obiettivo primario è quello di determinare se è comparso un nuovo, acuto bisogno che necessita di un'ulteriore valutazione e gestione o di verificare se una condizione preesistente, per la quale è necessario un ulteriore trattamento sintomatico, sia responsabile dell’attuale disagio.
l Cause
Il motivo più comune per iniziare le cure palliative è un cancro avanzato. Secondo i Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, negli Stati Uniti, le localizzazioni oncologiche primarie più comuni come causa di morte sono, nell’ordine: il polmone, il colon-retto, la mammella ed il pancreas. Altre malattie che spesso portano alle cure palliative sono l'HIV/AIDS, l’insufficienza cardiaca congestizia, la malattia polmonare ostruttiva cronica, l’insufficienza renale, quella epatica, la demenza e l’ictus.
l Indagini di laboratorio
Le indagini di laboratorio sono dettate dal sospetto di una specifica malattia acuta che richiederebbe una terapia, se individuata. Molti pazienti possono avere un'alta probabilità di scompensi, prima di fare esami, ma non serve che ne vangano fatti. Ad esempio, sarebbe spesso di scarsa utilità confermare un elevato livello di creatinina sierica in un paziente in cure palliative con una malattia renale allo stadio terminale che manifesta disturbi non correlati, come un’infezione lieve dei tessuti molli.
l Diagnostica per immagini
Come per le indagini di laboratorio, la diagnostica per immagini dovrebbe essere riservata all'identificazione delle condizioni che modificheranno il trattamento, quando presente. Ad esempio, non è necessario documentare solamente risultati noti come ad esempio una massa polmonare in un paziente con cancro al polmone che ha sintomi non correlati al petto. Al contrario, un paziente con colpi di tosse e la febbre può giustificare una radiografia del torace, a condizione che desideri un trattamento antibiotico per la polmonite, se scoperta.
l Procedure
Le comuni procedure nei pazienti in cure palliative comprendono la somministrazione di liquidi per via endovenosa o sottocutanea per la disidratazione, la toracentesi per il versamento pleurico sintomatico, la paracentesi per l’ascite sintomatico ed il posizionamento di un catetere urinario per scopi igienici o per risolvere l'ostruzione. Uno studio ha riferito di una collaborazione tra medici di pronto soccorso e specialisti di cure palliative sull’esecuzione al domicilio di una paracentesi ecograficamente guidata.
I sondini nasogastrici possono essere utilizzati temporaneamente per integrare l'assunzione orale. Tuttavia, sono scomodi ed aumentano significativamente il rischio di aspirazione. Quando i pazienti desiderano la nutrizione artificiale, si possono prendere in considerazione sondini semipermanenti, come ad esempio un sondino gastrico percutaneo (PEG). Un sondino nasogastrico può essere una transizione accettabile a breve termine, in vista di una soluzione a lungo termine. Un catetere di Foley può essere utilizzato in sostituzione, a breve termine, di un sondino gastrico estruso o bloccato che deve essere sostituito.
l Medicina d’urgenza e controllo del dolore
L’assistenza ai pazienti in un reparto palliativo di emergenza si occupa principalmente del sollievo dai sintomi. A volte, un trattamento specifico per una condizione acuta è appropriato. Per queste situazioni, si consultino altre sezioni di questo testo o altri studi. Questa sezione si concentra sulle strategie di trattamento del dolore, il sintomo più comune nei pazienti che ricevono cure palliative, in particolare quelli oncologici, che si rivolgono alle cure per acuti. Anche per altri pazienti in cure palliative che possono avere un dolore continuo o intermittente, i principi di trattamento rimangono identici. L'OMS ha diffuso una "scaletta" a 3 livelli che delinea l’approccio al trattamento del dolore nei pazienti oncologici. Anche se non specificamente formulato per altri tipi di pazienti in cure palliative, lo schema è chiaramente applicabile anche ad essi.
Secondo l'OMS:
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quando compare il dolore, ci dovrebbe essere la pronta somministrazione per via orale di farmaci nel seguente ordine: nonoppioidi (aspirina e acetaminofene); poi, se necessario, gli oppioidi lievi (codeina); infine gli oppioidi forti (come la morfina), fino a quando il paziente non ha più dolore. Per calmare le paure e l'ansia, devono essere prescritti dei farmaci "coadiuvanti". Per mantenere l’analgesia, i farmaci devono essere somministrati con continuità, piuttosto che "su richiesta". Questa modalità in tre fasi di somministrazione del farmaco giusto, nella dose giusta, al momento giusto è poco costosa ed efficace all’80-90%. L'intervento chirurgico sui nervi appropriati può fornire ulteriore sollievo dal dolore se i farmaci non sono del tutto efficaci.
L'approccio a scaletta è stato messo in discussione, ma è generalmente considerato un prezioso strumento per orientare il trattamento del dolore oncologico cronico. Il principio di base di riservare gli oppioidi per il dolore che non può essere trattato con successo con i non oppioidi, e di continuare la terapia non oppioide, quando possibile, è importante per i pazienti in un contesto di palliazione, sia oncologici che non.
Il dolore può essere continuo, intermittente, o episodico intenso. Secondo una ricerca, il 48% dei pazienti oncologici aveva dolore continuo, con il 75% che manifestava dolore episodico intenso in certi momenti. Il rimanente 52% presentava dolore intermittente. Il dolore continuo con una terapia inadeguata è comunemente riportato anche da ricerche che evidenziano il frequente discostamento dalle linee guida basate sull'evidenza. Un tipo specifico di dolore cronico trattato inadeguatamente è il dolore definito da fine dose. Ogni tipologia di dolore richiede un approccio terapeutico alquanto diverso e, quindi, è importante essere in grado di differenziarli.
I pazienti in cure palliative possono presentarsi a un pronto soccorso con un dolore cronico in uno stadio precoce della malattia. In tale situazione, come suggerito dallo schema dell’OMS, i farmaci non oppioidi o oppioidi lievi sono il trattamento sintomatico più appropriato. Il trattamento iniziale del dolore che richiede oppioidi dovrebbe essere con preparati con effetto veloce e breve durata d'azione. Più comunemente, i pazienti si presentano con un dolore cronico non adeguatamente controllato e stanno già assumendo antidolorifici narcotici. In questi casi, si deve distinguere tra il dolore da fine dose e quello episodico intenso.
Il dolore episodico intenso è descritto come un aggravamento acuto all’interno del dolore cronico. Può insorgere per un evento scatenante specifico, come ad esempio la tosse in un paziente con metastasi alle costole, oppure comparire senza una causa identificabile. La migliore terapia per il dolore episodico intenso è un farmaco narcotico “di salvataggio” con una breve durata d'azione. Il dolore da fine dose è diagnosticato dal caratteristico decorso temporale e si verifica abbastanza prevedibilmente prima della successiva dose di analgesico. Si previene aumentando la frequenza di somministrazione o passando ad un narcotico ad azione prolungata.
Quando il sollievo dal dolore è inadeguato con un oppioide a lunga durata d'azione, l'approccio utile consiste nell’aumentare il dosaggio. Gli oppioidi non hanno un effetto tetto e, pertanto, non c’è una dose massima specifica, qualsiasi dosaggio il paziente stia assumendo. La dose corretta è quella necessaria per alleviare il dolore. La paura della dipendenza o della depressione respiratoria non è appropriata in questo ambito. A volte, piuttosto che aumentare il dosaggio, è preferibile il passaggio da un farmaco oppioide ad un altro. Gli effetti collaterali possono essere diversi con preparazioni diverse, e la tolleranza incrociata è incompleta. Quando si passa ad un altro farmaco, bisogna iniziare con il 50% (o più) della dose equianalgesica raccomandata. Al di sotto di ciò il dosaggio sarà quasi certamente inadeguato.
Gli effetti collaterali degli oppioidi possono essere previsti e prevenuti in anticipo. La nausea ed il vomito sono comuni nei primi giorni di trattamento. Un antiemetico come la metoclopramide o un antagonista della serotonina sono spesso efficaci e dovrebbero essere prescritti circa per la prima settimana di trattamento narcotico.
In alcune circostanze, particolari tipi di dolore possono essere affrontati con terapie relativamente specifiche. Il meccanismo di riduzione del dolore varia e, in alcuni casi, non è ben compreso. Alcuni esempi farmacologici del trattamento di dolori specifici sono elencati di seguito.
Categoria farmacologica, indicazioni
Corticosteroidi, aumento della pressione intracranica, compressione dei nervi
antidepressivi ciclici, anticonvulsivanti, neuropatie
farmaci non steroidei antinfiammatori, dolore osseo, dolore dei tessuti molli
bifosfonati, dolore osseo
Oltre al trattamento farmacologico del dolore, sono disponibili terapie non farmacologiche. Le radiazioni, l’ablazione con radiofrequenza, o gli interventi chirurgici possono essere utilizzati per trattare un tumore che provoca dolore in una determinata area. Possono essere utilizzati metodi fisici come una steccatura o l'applicazione di caldo o freddo. Il freddo sotto forma di impacchi di ghiaccio, confezioni di gel e spray refrigeranti riduce la conduzione nervosa, gli spasmi muscolari, l’infiammazione e l’edema. Il massaggio con il ghiaccio, in cui la pelle sovrastante il tessuto dolente viene strofinata con un blocco di ghiaccio, produce l'analgesia dopo alcuni minuti. Non ci sono studi controllati completi sull’analgesia indotta dal freddo per il trattamento del dolore oncologico. Il freddo va evitato nei tessuti ischemici ed irradiati.
Il riscaldamento è stato da lungo tempo utilizzato per alleviare il dolore muscolare, osseo e articolare. L'effetto analgesico del calore è dovuto in parte ad un aumento del flusso sanguigno e anche alla riduzione della rigidità articolare. Il calore induce anche rilassamento mentale e allevia lo stress. Gli impacchi caldi, i cuscinetti termici o i bagni caldi migliorano il flusso sanguigno cutaneo e rilassano muscoli e legamenti.
La terapia psicologica può giocare un ruolo a lungo termine. Nella medicina d’urgenza, il riconoscimento del ruolo dell’ansia e della depressione può portare ad indirizzare ad un servizio di salute mentale o ad un trattamento farmacologico con ansiolitici o antidepressivi. Sia l'ansia che la depressione possono abbassare la soglia del dolore e aumentare il bisogno di oppioidi. Gli ansiolitici possono essere un'aggiunta estremamente importante per ottenere il controllo del dolore acuto e ansiolitici o antidepressivi possono svolgere un ruolo ancora maggiore nella gestione del dolore cronico.
Alcuni interventi sono anche efficaci per ridurre il dolore. I blocchi neurolitici dell'asse simpatico possono essere utilizzati per alleviare il dolore viscerale nelle cavità addominale o toracica. I dispositivi impiantabili, quali cateteri epidurali o intratecali, sono utili per i pazienti con oppioidi ad alto dosaggio quando gli effetti collaterali sono debilitanti. Questi dispositivi forniscono un’analgesia che interessa le regioni selezionate, in base alla posizione della punta del catetere e consentono una significativa riduzione della quantità degli oppioidi necessari. Alcuni autori considerano questi interventi come un "quarto gradino" sulla scala dell’OMS.
l Medicina d’urgenza e dispnea
I pazienti con malattia polmonare in fase terminale o insufficienza cardiaca congestizia sono invariabilmente dispnoici ed il 75% di tutti i pazienti morenti prova dispnea. Questa può rappresentare una progressione della loro malattia o una patologia aggiuntiva. In caso di progressione della malattia, quando il paziente non desidera ulteriori trattamenti per la condizione primaria, la palliazione è appropriata. I pazienti possono già utilizzare l’ossigenoterapia e la concentrazione di ossigeno può essere aumentata oppure si può iniziare l’ossigenoterapia.
L’aumento della dispnea è spesso associato ad ansia e può instaurarsi un circuito autoinnescante in cui la difficoltà di respirazione porta ad ansia che provoca un aumento della frequenza respiratoria e della richiesta di ossigeno che porta anche ad una più grave dispnea. In questa situazione, i farmaci sono appropriati. L’apprensione per gli effetti di depressione respiratoria non è fondata e non ci si deve preoccupare.
Le benzodiazepine sono spesso efficaci.
Nei pazienti che non assumono ancora oppioidi, gli oppioidi a basso dosaggio possono alleviare la dispnea. Ad esempio, la codeina 30 mg per via orale ogni 4 ore, può fornire sollievo nella dispnea lieve. Per coloro che già utilizzano oppioidi, la dose può essere aumentata.
Quando la valutazione rivela una causa potenzialmente curabile della dispnea, come una polmonite, un pneumotorace, un versamento pleurico, o una sindrome della vena cava superiore, il rapporto tra il rischio e il disagio degli interventi diagnostici e terapeutici deve essere considerato alla luce della sopravvivenza stimata per il paziente e della probabilità di successo della terapia.
l Medicina d’urgenza e sintomi gastrointestinali
Fino al 50% dei pazienti che assumono morfina e derivati sviluppano una significativa stipsi. Ciò è dovuto alla soppressione, indotta dal narcotico, della motilità intestinale. Un esame rettale deve essere eseguito per determinare se è necessaria una disocclusione da materiale fecale. Clisteri e purganti che favoriscono la motilità intestinale sono un trattamento logico.
Uno studio comparativo sull'efficacia del lattulosio e della senna è stato condotto in pazienti oncologici terminali. Entrambi i lassativi sono risultati ugualmente efficaci nel trattamento della stipsi indotta da narcotici, ma la senna è preferibile a causa del basso costo. Agenti ammorbidenti dei fecalomi possono anche aiutare a prevenire la stitichezza dovuta ai narcotici. I lassativi che generano massa non sono appropriati nella stipsi indotta dagli oppioidi. Favoriscono la distensione del colon, ma non stimolano la peristalsi. L'uso di questi agenti può comportare una "pseudo ostruzione" intestinale.
Una sostanza relativamente nuova, il metilnaltrexone bromuro (Relistor), è un antagonista degli oppioidi indicato per la stipsi da essi indotta. Il Relistor è un agente ad azione periferica ed è in grado di invertire effetti indesiderati, come la stipsi, senza diminuire la natura analgesica di questa classe di farmaci. In due studi clinici riportati sul foglietto illustrativo, il Relistor ha contrastato la costipazione indotta da oppioidi nel 48-62% dei pazienti entro 4 ore. Il Relistor è somministrato mediante iniezione sottocutanea e viene dosato in base al peso corporeo ed utilizzato in genere a giorni alterni, se necessario.
Indipendentemente dall'eziologia, fino al 90% dei pazienti con una patologia terminale lamentano stipsi. Il suo trattamento è simile a quello della stipsi indotta dagli oppioidi. L’occlusione intestinale può presentarsi come stitichezza, ma ci sono sintomi aggiuntivi o sintomi come vomito, dolore o distensione addominale, o segni peritoneali che indirizzano alla diagnosi. Se c’è un dubbio, semplici radiografie addominali di solito aiutano a differenziare la normale stipsi dall’ostruzione. Indagini più sofisticate, come la TAC, dovrebbero essere usate raramente in questa popolazione.
L’ipercalcemia si verifica nel 10-20% dei pazienti con cancro del polmone ed è comune anche nel cancro alla mammella e nel mieloma. Il sintomo più comune è la stipsi. Molti pazienti possono scegliere di non trattare l'ipercalcemia nel quadro di una malattia terminale. In tal caso, il trattamento sintomatico con lassativi e clisteri può essere utile.
La nausea ed il vomito sono comuni nei pazienti oncologici, o con insufficienza cardiaca congestizia, malattia renale allo stadio terminale ed AIDS. Possono essere una risposta riflessa alla distensione intestinale dovuta alla stitichezza, che è la causa reversibile più comune. La loro seconda frequente causa reversibile sono i farmaci. I narcotici sono spesso causa di nausea e vomito quando si inizia il trattamento. La tolleranza di solito si sviluppa durante la prima settimana di trattamento. Un antiemetico come la metoclopramide o un antagonista della serotonina può essere efficace. Il narcotico può essere sostituito con un altro. Se si sospetta che la causa sia un altro farmaco, questo deve essere sospeso o sostituito, se necessario. Quando non si identifica una specifica eziologia deve essere usato un antiemetico.
L'anoressia è un fenomeno comune al termine della vita e non esiste alcun trattamento specifico.
l Medicina d’urgenza e sintomi psicologici
I sintomi depressivi sono comuni nel fine vita. Anche se molti credono che la depressione sia "normale" tra i pazienti terminali, essa non è un elemento necessario della malattia terminale e può essere curabile. La depressione maggiore deve essere differenziata rispetto alla prevedibile rabbia, tristezza ed ansia associate a una malattia grave. Il grado e la persistenza dei sintomi sono elementi per diagnosticare la depressione maggiore, che si stima si verifichi in meno del 25% dei pazienti con una malattia terminale. Una domanda aperta come: "per quanto tempo si sente depresso?" può essere il miglior strumento di screening. Precedenti periodi di depressione o la sua presenza in famiglia aumentano la probabilità che si sviluppi la depressione in risposta ad una grave malattia.
Come per gli altri casi di depressione, gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina sono il cardine della terapia. Basse dosi possono essere iniziate durante il ricovero d’urgenza da incrementare, se necessario. Gli effetti terapeutici possono essere ritardati per settimane, quindi queste terapie sono appropriate quando un paziente ha una prognosi di almeno un paio di mesi. Alcuni autori sostengono l'uso di stimolanti per i pazienti con una prognosi a brevissimo termine. Sono efficaci entro un giorno o due e possono essere particolarmente utili nei pazienti che presentano una grave fatigue tra gli altri sintomi. Le anfetamine stimolanti che sono state utilizzate sono le destroanfetamine e il metilfenidato. La pemolina è uno stimolante non anfetminico che è anche stato utilizzato in questo contesto.
L'ansia è comune nei pazienti in cure palliative. Spesso è una componente di una sindrome depressiva e, in tal caso, il trattamento della depressione di solito si traduce in un miglioramento. L'ansia può anche essere un disturbo psichiatrico primario o rappresentare una risposta esagerata allo stress e alla preoccupazione associati ad una malattia terminale. I disturbi d'ansia possono aumentare la richiesta di oppioidi nel trattamento del dolore acuto e cronico, e gli ansiolitici dovrebbero essere considerati come un coadiuvante in questi pazienti. Le benzodiazepine o i neurolettici sono scelte ragionevoli per il trattamento farmacologico dell’ansia.
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