Nota redazionale di Medscape: L'anno scorso, il Seattle Cancer Care Alliance, un centro oncologico ominicomprensivo nello Stato di Washington, ha pubblicato un articolo sul New England Journal of Medicine che illustra la creazione e l'attuazione di un programma di suicidio assistito dai medici nel loro centro.
In esso, gli autori descrivono come si sono comportati con i 114 pazienti che hanno chiesto informazioni sul suicidio medicalmente assistito nel loro centro, 40 di questi pazienti hanno ricevuto [..]
[..] una prescrizione per una dose letale di secobarbitale e 24 di loro hanno ingerito il farmaco.
Lo studio ha rilevato, per esempio, che il motivo più comune esposto dai pazienti che hanno voluto partecipare al programma di suicidio assistito, era la perdita di autonomia, che è stata citata dal 97,2% dei pazienti. Al contrario, il 22,2% ha riferito come motivazione un dolore incontrollabile o la paura di un dolore futuro.
L'articolo ha anche delineato alcune delle scelte del Seattle Cancer Care Alliance mentre veniva sviluppato il programma di suicidio medicalmente assistito, che è stato chiamato: "Morte con dignità".
Ad esempio, il centro ha scelto di non accettare nuovi pazienti interessati principalmente al suicidio assistito; i pazienti dovevano anche sottoscrivere l’impegno a non assumere la prescrizione letale in un'area o con una modalità pubblica.
Infine, l'articolo trattava di come i medici all'interno del Seattle Cancer Care Alliance hanno risposto allo sviluppo di un programma di suicidio medicalmente assistito nel loro centro. Nel corso di un’indagine iniziale sugli 81 medici che hanno risposto, il 38,3% era indeciso o non desideroso di partecipare al programma; il 25,9% era disposto ad agire solo come medico di consulenza; mentre il 35,8% era disposto ad agire come prescrittore o consulente.
In un'indagine separata del New England Journal of Medicine anch’essa pubblicata lo scorso anno, il 67% degli elettori americani erano contrari al suicidio assistito dal medico.
In questa intervista rilasciata a Medscape, il dottor Anthony L. Back, uno degli autori dell'articolo e professore associato di medicina presso l'Università di Washington a Seattle nonché direttore del “Programma di comunicazione oncologica” del Seattle Cancer Care Alliance e del Fred Hutchinson Cancer Research Center, riferisce sullo sviluppo del programma di suicidio medicalmente assistito nel suo centro e offre consulenza ai medici i cui pazienti possano esprimere una richiesta di morte assistita dal medico.
Medscape: L’articolo del New England Journal of Medicine suggerisce che, oltre ad una richiesta di morte assistita da parte del paziente, anche i medici possono introdurre l'argomento. In quali circostanze un medico dovrebbe sollevare la questione del suicidio assistito?
Dr Back: I medici devono sollevare la questione e fare una proposta, se avvertono che un paziente sta alludendo ad esso e cercando di chiedere informazioni, anche senza realmente pronunciare la parola. Ci sono alcuni pazienti che vorrebbero chiedere informazioni su ciò, ma sono intimiditi o si sentono strani nel richiederle; in questi casi, è meglio che il medico porti la questione allo scoperto piuttosto che girarci in giro. Io la vedo così.
In termini di opzioni per le cure di fine vita, non proporrei il documento “Morte con dignità” ad un paziente che non abbia manifestato alcun interesse. Non è questo il problema.
Ma la maggior parte dei pazienti nel nostro stato, o comunque molti di loro, sono consapevoli del fatto che c'è una legge e del fatto di avere alcuni diritti per legge e sono felice di aiutarli a parlare dei loro diritti e della legalità di ciò. Dato che è una pratica destinata ad essere utilizzata da un numero molto ristretto di persone, infatti è solo una piccola percentuale che vuole davvero andare fino in fondo, non mi sento di doverla offrire a tutti, senza alcun segnale da parte loro.
Ci sono un sacco di pazienti che vogliono parlarne e vogliono sentirne parlare perché stanno cercando di capire che cosa dovrebbero fare.
Medscape: Una volta che la questione è stata sollevata, dal paziente o dal medico, quale ruolo dovrebbe giocare il medico curante nel parlare con il paziente sulla sua effettiva ragione per ricercare il suicidio medicalmente assistito?
Dr Back: La prima cosa, e questo è molto importante per il medico curante, è di fare un piccolo passo indietro e chiedersi, che cosa sta succedendo qui? Quali sono i problemi e quali sono le preoccupazioni che stanno portando un paziente a dire: "Sto pensando di affrettare la mia morte"? Parlando di ciò, che cosa sta in effetti chiedendo? Perché lo chiede adesso? Di che cosa è preoccupato?
Queste domande sono tutte estremamente illuminanti nell’aiutare medici e pazienti a capire quali sono i veri problemi. Indipendentemente da cosa un singolo medico possa pensare del suicidio assistito e del documento “Morte con dignità”, ritengo che quelle domande - cosa sta succedendo adesso? Perché si affronta questo problema adesso? - facciano proprio parte di una cura davvero buona, che si tratti di terapia oncologica, di cure palliative, di assistenza di base del paziente.
La mia esperienza è che i pazienti sono molto chiari al riguardo. Non chiedono in modo banale. Non chiedono in modo casuale. Dal momento che trovano il coraggio di chiedere al loro medico, sono veramente preoccupati. C'è quasi sempre qualcosa di molto importante e sostanziale dietro a quelle richieste.
Gran parte dei pazienti chiedono perché vogliono sapere cosa fare se le cose si mettessero davvero male. Si tratta di pazienti che preferiscono pianificare in anticipo e si prospettano lo scenario peggiore.
In realtà è il contrario rispetto a molti altri pazienti che vogliono evitare il più possibile di parlare della morte. Si tratta di pazienti che si dicono: "Se accadesse il peggio, cosa farei?" Molti di loro pensano: "Se tutto questo diventa insopportabile, ho una via d'uscita?" Questo è ciò che molti stanno pensando. Ho una grossa fetta di pazienti che chiedono precocemente nel corso della loro malattia, perché pianificano in anticipo.
Medscape: Avviare un paziente verso il protocollo “Morte con dignità”del Seattle Cancer Care Alliance è un processo in più fasi che include l'incontro con diversi medici, assistenti sociali, farmacisti, e con la famiglia del paziente. Quale aspetto, a suo parere, è più importante in questi incontri? In altre parole, qual è l'informazione più importante che cerca di trasmettere o di raccogliere dal paziente durante questo processo?
Dr Back: La questione più importante che cerco di trasmettere è che stiamo prendendoci cura di lui, qualsiasi cosa accada, che possiamo assicurargli che conoscerà tutte le possibilità in modo imparziale, non in modo peggiorativo o stigmatizzante, e rassicurarlo che ci saranno discussioni esplicite su ciò che è importante per lui in modo che quando la morte si avvicina, siamo in grado di rispettare i suoi valori e le sue scelte, sia che sia a favore della morte con dignità o no.
Medscape: Le riunioni con i familiari sembrano essere una parte molto importante del protocollo. Pensa che ci siano differenze di opinione tra i membri della famiglia mentre compiono questo processo? Come dovrebbe essere impostato un protocollo per trattare con loro?
Dr Back: Quando si arriva a un discorso serio, è raro che il familiare non abbia già sentito parlare di ciò. Di solito, i pazienti intuiscono chi sarà il familiare di sostegno, chi li accompagnerà.
Quindi, non è comune che durante la riunione un membro della famiglia dica: "Tutto questo sembra una follia". A volte, quando le persone stanno iniziando a pensarci, ci sarà un membro della famiglia che dà un'occhiata al paziente come se non avesse mai pensato che fosse il tipo di persona che lo farebbe. Non mi capita di incontrare molti familiari che realmente cerchino di dire ai pazienti: "Non farlo".
Certamente incontro molti familiari che sono preoccupati per questo, che non sanno come si sentiranno riguardo a ciò, che non sanno bene quale ruolo devono assumere perché hanno sempre detto al paziente, "Ehi, farò di tutto per sostenerti" e non si rendevano conto che "tutto" potesse includere anche questo.
Così, spesso finisco per parlare separatamente con i membri della famiglia di quello che stanno provando, perché per loro è molto coinvolgente.
Medscape: Il controllo sembra essere l'aspetto fondamentale del desiderio del paziente di una morte medicalmente assistita. Tale comprensione, che è stata molto chiara nello studio che hai pubblicato, come dovrebbe essere inserita in un protocollo o in un processo di morte assistita?
Dr Back: Quello che abbiamo cercato di fare con il nostro percorso è permettere, ai pazienti che hanno bisogno di un elevato controllo, di sentire che il processo è abbastanza chiaramente delineato.
La legge delinea una cosa, ma poi quando il nostro avvocato esamina il modo di procedere con il paziente, diventa chiaro che ci sono parecchi momenti di avanzamento; questo è ciò che si fa. Abbiamo un numero certo di incontri.
Rendere ciò davvero esplicito aiuta i pazienti a sapere che non è un procedimento misterioso, che ci sono diverse persone che sono responsabili delle varie parti, tra cui il paziente e la famiglia, perché risulta evidente che questo è un qualcosa che non si può fare all'ultimo minuto.
È qualcosa che, se si fa veramente sul serio, spesso si deve un po' programmare nel tempo, perché si devono prendere tutte le pillole da soli. Molti pazienti arrivano al punto in cui sono troppo malati per deglutire un numero elevato di pillole o una grossa quantità di polvere.
Quindi, ci sono gli aspetti pratici da considerare. Mettendola in modo concreto la si demistifica. Ciò permette alle persone di sapere che possono avere un certo controllo.
L'altra cosa è che i pazienti approfondiscano e parlino con i loro familiari su come attueranno questo processo. La pianificazione di questo processo può diventare il primo passo nella pianificazione di un sacco di cose inerenti la morte.
Penso che sia per questo che ci sono così tante persone che arrivano al momento e procedono, "Sai una cosa, io sto bene. C’è chi si prende cura di me. Sono abbastanza a mio agio, continuo a vedere la mia famiglia. Ho solo intenzione di lasciarmi scivolare via".
Medscape: Come le cure palliative e l’hospice si inseriscono nel protocollo per il suicidio assistito dal medico?
Dr Back: Le cure palliative e l’hospice sono entrambi realmente fondamentali nelle cure di fine vita. L’assistenza per i pazienti che vogliono morire secondo la legge di dignità è tutta incentrata su eccellenti cure palliative e c’è bisogno di medici che parlino ai pazienti di quello che li preoccupa, in un modo davvero attento.
C’è bisogno di medici ed infermieri che diano alla gente un eccellente controllo dei sintomi, perché si scopre che nessuno, né i pazienti né i medici, vogliono anticipare la morte perché qualcuno non riceveva abbastanza antidolorifici o non gli è stato offerto un rimedio disponibile per il controllo dei sintomi. Nessuno pensa che questa sia una buona idea.
L’hospice è soprattutto per i pazienti che hanno la possibilità di morire a casa. L’hospice mobilita tutte quelle risorse e contribuisce ad organizzarle e a collegarle all’équipe, alla clinica o all'ospedale. Questo fa parte del mostrare ai pazienti che siamo in grado di fornire questa assistenza continua che fluisce dall'ospedale alla clinica, alla casa. Perciò, le cure palliative e l’hospice sono dei cardini. Sarebbe strano avere un protocollo per il suicidio assistito, se non si avessero in atto delle cure palliative eccellenti.
Medscape: Quale resistenza c'è stata tra i medici all'interno del Seattle Cancer Care Alliance o dei gruppi di riferimento dell'istituzione sull'uso del protocollo medicalmente assistito, se c’è stata? Che consigli darebbe ai medici che intendano sviluppare un protocollo simile presso il loro centro?
Dr Back: Ci sono medici presso il nostro e altri istituti che davvero non vogliono avere nulla a che fare con il protocollo. Essi hanno la possibilità di non partecipare, sia come medico curante o consulente.
All’inizio quando stavamo realizzando questo protocollo e prima di proporlo, abbiamo fatto un sondaggio, un sondaggio anonimo tra i medici curanti, per vedere quanti avrebbero partecipato. Abbiamo pensato che se il 10% del personale curante avesse partecipato, non sarebbe stato fattibile. Non saremmo stati in grado di garantire questo tipo di processo.
Tuttavia, con nostra sorpresa, credo che fosse il 70% dei medici a dire che sarebbero disposti a prescrivere o fare una consulenza, ad un certo punto. Questo ci ha dato una certa fiducia che non avremmo individuando uno o due medici come "il medico della morte con dignità", che ciò non sarebbe diventato eccessivamente oneroso per uno o due medici, e che potevamo partecipare come istituzione. Quindi, mi sembra che quel sondaggio sia stato davvero importante nel prendere la decisione di procedere con il protocollo.
C'erano alcuni che avevano opinioni di grande resistenza a questo, perché sono medici. C’è una percentuale di medici, si tratta di una minoranza, che pensa che i medici non dovrebbero aver parte in ciò.
Questo non appartiene alla medicina; la professione non dovrebbe occuparsene. È un argomento etico che è ritornato a lungo. Penso che la loro principale preoccupazione vertesse su: "Questi pazienti riceveranno una buona cura? Saranno ancora inseriti nel resto del sistema? Verranno da noi solo per questo?" Sarebbe stato strano se qualcuno fosse venuto a noi solo per il suicidio assistito dal medico.
Come risultato abbiamo preso una decisione, come istituzione, che non avevamo intenzione di accettare ricoveri presso le cure palliative con lo scopo del suicidio medicalmente assistito. I pazienti dovevano essere i nostri e ci saremmo presi cura di loro. Ci prenderemo cura di qualsiasi nostro paziente, ma noi non stiamo cercando di essere un centro del suicidio medicalmente assistito. Penso che questo sia stato veramente utile.
Inoltre, dato che si avevano più conversazioni con i pazienti e che le conversazioni erano esplicite,
Nota redazionale: Questa intervista è stata riassunta e rivista perché fosse più chiara. è risultato abbastanza chiaro parlando con i pazienti che la maggior parte di loro è volitiva, tenace e ragionevole. Non sono pazzi. Non sono fuori di sé. Sono persone molto ragionevoli. Quando si parla con loro, dopo aver parlato con parecchi di loro, ti dici: "Va bene, ho capito." Si tratta del desiderio di una minoranza, ma non è dovuto al fatto che stanno esagerando, o perché sono ansiosi o perché sono irragionevoli.
By Amy Braunschweiger
2014 Human Rights Watch, THE WEEK IN RIGHTS, November 6, 2014
References
- Loggers ET, Starks H, Shannon-Dudley M, Back AL, Appelbaum FR, Stewart FM. Implementing a Death with Dignity program at a comprehensive cancer center. N Engl J Med. 2013;368:1417-1424. Abstract
- Colbert JA, Schulte J, Adler JN. Clinical decisions. Physician-assisted suicide—polling results. N Engl J Med. 2013;369:e15.
Medscape Oncology © 2014 WebMD, LLC Cite this article: Developing a Physician-Assisted Suicide Program. Medscape. Sep 24, 2014.