Anche se molti stati americani ora hanno leggi per facilitare la prescrizione medica della marijuana per una varietà di situazioni cliniche, due nuove ricerche hanno evidenziato la mancanza di prove a sostegno il suo uso nella maggior parte delle indicazioni.
Un editoriale pone anche domande sulle implicazioni giuridiche per i medici che prescrivono tali prodotti.
Le ricerche, pubblicate nel numero del 23/30 giugno del Journal of the American Medical Association, rilevano che 23 Stati e il District of Columbia hanno emanato leggi che consentono la prescrizione medica della marijuana per alcune condizioni cliniche.
Nell’esaminare la letteratura medica sull’utilizzo sanitario della marijuana, le due ricerche giungono a conclusioni simili [...]
[...] che alcune evidenze supportano l'uso della marijuana per la nausea ed il vomito legati alla chemioterapia, per specifiche sindromi dolorose e per la spasticità dovuta alla sclerosi multipla. Ma per la maggior parte delle altre indicazioni, come l'epatite C, il morbo di Crohn, la malattia di Parkinson, o la sindrome di Tourette, hanno trovato che le evidenze a sostegno del suo uso sono di scarsa qualità.
Un terzo studio, nello stesso numero di JAMA, rileva la grande variabilità di specifici cannabinoidi in diversi prodotti sanitari con marijuana e osserva che i contenuti non erano conformi a quanto pubblicizzato sull'etichetta.
In un editoriale di accompagnamento, i dottori Deepak Cyril D'Souza e Mohini Ranganathan della Yale University School of Medicine di New Haven nel Connecticut, evidenziano che nella maggior parte delle condizioni corrispondenti ad un utilizzo clinico della marijuana, le evidenze non giungono a soddisfare gli standard della Food and Drug Administration (FDA) statunitense.
Essi chiedono il sostegno governativo per condurre sperimentazioni di alta qualità. Finché le risultanze di tali sperimentazioni non sono disponibili, essi suggeriscono che potrebbe essere prudente attendere prima di utilizzare ampiamente la marijuana. “Forse è il momento di rimettere il cavallo davanti al carro", concludono.
Implicazioni giuridiche non chiare
Gli editorialisti sottolineano che per i medici, le implicazioni giuridiche del certificare i pazienti per un utilizzo clinico della marijuana rimangono poco chiare, viste le divergenze di opinioni tra stato e governo federale.
Evidenziano che la prescrizione, la fornitura, o la vendita di marijuana è illegale per la legge federale e che non si sa fino a che punto un medico che certifica un paziente per un utilizzo clinico della marijuana possa essere ritenuto responsabile per i risultati negativi, e se l’assicurazione relativa alle terapie errate coprirà ogni responsabilità.
In uno dei documenti di revisione, il dottor Kevin P. Hill, del McLean Hospital di Belmont nel Massachusetts, ha esaminato 28 studi clinici randomizzati di cannabinoidi utilizzati con varie indicazioni.
Egli osserva che ci sono due cannabinoidi (dronabinol e nabilone), che sono approvati dalla FDA per la nausea e la stimolazione dell'appetito.
Oltre a queste due indicazioni, il dottor Hill ha rilevato che l'uso della marijuana per il dolore cronico, il dolore neuropatico e la spasticità dovuta a sclerosi multipla è supportato da prove di alta qualità.
6 sperimentazioni, comprendenti 325 pazienti, esaminavano il dolore cronico, 6 sperimentazioni, relative a 396 pazienti, studiavano il dolore neuropatico e 12 ricerche con 1600 pazienti indagavano la sclerosi multipla. Molte di queste sperimentazioni hanno dato risultati positivi, suggerendo che la marijuana o i cannabinoidi possano essere efficaci per queste indicazioni.
L'altra ricerca, del gruppo guidato dal dottor Penny F. Whiting, del University Hospitals Bristol NHS Foundation Trust nel Regno Unito, ha valutato 79 sperimentazioni su cannabinoidi, per un totale di 6462 partecipanti. Le indicazioni comprendevano la nausea ed il vomito dovuti alla chemioterapia, la stimolazione dell'appetito nell’HIV/AIDS, il dolore cronico, la spasticità conseguente alla sclerosi multipla o alla paraplegia, la depressione, il disturbo d'ansia, i disturbi del sonno, la psicosi, il glaucoma, o la sindrome di Tourette.
C'era una migliore evidenza di efficacia per la nausea ed il vomito (con il 47% dei pazienti che avevano una risposta completa contro il 20% con il placebo, in 3 studi), il dolore (con il 37% di pazienti che hanno riportato una riduzione rispetto al 31% con il placebo, in 8 studi) e la spasticità (con una riduzione media sulla scala di Ashworth per la spasticità di -0.36, in 7 studi).
Entrambe le ricerche segnalano un aumento del rischio di effetti collaterali a breve termine, che comprendono le vertigini, la secchezza delle fauci, la nausea, la stanchezza, la sonnolenza, l’euforia, il vomito, il disorientamento, la confusione, la perdita di equilibrio, le allucinazioni, la dipendenza ed il peggioramento di patologie psichiatriche, quali l’ansia ed i disturbi dell’umore.
Etichettature inesatte
Relativamente al dosaggio, un gruppo guidato dal dottor Ryan Vandrey, della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora nel Maryland, segnala che dei 75 prodotti acquistati (47 marchi diversi), l’etichettatura era precisa nel 17% , il 23% riportava dosaggi inferiori ed il 60 % dosaggi superiori rispetto al tenore di tetraidrocannabinolo.
"I prodotti commerciabili della cannabis in tre grandi aree metropolitane, anche se non regolamentati, non rispettavano le norme fondamentali di precisione dell’etichettatura per i prodotti farmaceutici" scrivono gli autori e concludono: "Dato che la cannabis per uso medico è consigliata per specifiche condizioni di salute, una regolamentazione e garanzia della qualità sono necessarie".
Nel loro editoriale, il dottor D'Souza e il dottor Ranganathan notano incongruenze nei requisiti clinici necessari per l'uso medico della marijuana all'interno di uno stato e tra gli stati. Ad esempio, nel Connecticut, la psoriasi e l'anemia falciforme, ma non la sindrome di Tourette hanno i requisiti necessari, anche se le evidenze, per tutte e tre le condizioni, sono uniformemente di qualità molto bassa. Allo stesso modo, il disturbo da stress post-traumatico è accettato come requisito in alcuni, ma non in tutti gli stati americani.
Essi sottolineano inoltre che la marijuana è un insieme di oltre 400 molecole, comprendenti fino a 70 cannabinoidi che hanno effetti singoli o interagenti e che la composizione dei preparati di cannabis può variare notevolmente.
Gli editorialisti consigliano che, a causa del rischio di psicosi dato dalla marijuana, ci debbano essere controindicazioni esplicite per l'uso nei pazienti con schizofrenia, disturbo bipolare, o dipendenza da sostanze, insieme a misure per ridurre al minimo la possibile assunzione. Essi suggeriscono che i programmi di follow-up dovrebbero essere introdotti per monitorare i risultati a lungo termine nei pazienti che assumono marijuana a scopo terapeutico.
Dato che l'assunzione di cannabinoidi durante periodi critici dello sviluppo cerebrale è associata a cambiamenti duraturi del comportamento e della cognizione, invitano ad un attento esame per determinare a quale età sia giustificabile l'assunzione della marijuana a scopo terapeutico.
vai all'articolo originale: >> JAMA. 2015;313:2474-2483, 2456-2473, 2491-2493, 2431-2432. Hill review paperWhiting review paperDose studyEditorial