In epoca vittoriana una diagnosi di cancro significava una malattia che portava velocemente a morte. Con la moderna oncologia, il cancro è diventato una malattia cronica e molte malattie infettive, immunitarie e neurodegenerative ora hanno una lunga sopravvivenza. Per questi pazienti si accumulano complicazioni mediche e sociali che possono erodere la qualità della loro vita residua. Spesso l'organo che soffre di più è il cervello. Precedentemente il cancro prostatico raramente metastatizzava al cervello; la sclerosi laterale amiotrofica/malattia del moto neurone raramente sembrava causare la demenza frontotemporale; la radioterapia non provocava la necrosi neuronale; le chemioterapie non generavano dolorose neuropatie periferiche e il coinvolgimento leptomeningeo era una complicanza insolita del tumore maligno al seno. Il cervello e la mente sono sempre più vittime dei trattamenti medici moderni. |
La psichiatria è una componente importante della pratica della medicina palliativa.
Potrebbe essere la specialità medica altamente necessaria al capezzale dei morenti, anche se ancora pochi psichiatri si trovano accanto ad un morente.
Le importanti conoscenze e competenze della psichiatria non sono e non saranno mai esercitate dai suoi specialisti in un'unità di cure palliative, ma i palliativisti hanno bisogno di questo sapere, quindi hanno bisogno di un'adeguata esperienza e formazione per acquisire la necessaria sicurezza clinica.
I moderni medici palliativisti hanno avuto una formazione specialistica, ma solo raramente hanno avvicinato la follia nella loro formazione medica. Questa mancanza deve essere affrontata.
Gli aspetti psicologici essenziali delle cure palliative sono ben evidenziati e trattati nella maggior parte dei programmi di formazione. Comunicare cattive notizie, lavorare con la sofferenza, trattare con la negazione e così via sono problemi costanti nella pratica e adeguatamente affrontati dalla formazione.
Per un certo periodo il nome della Kubler-Ross era quasi sinonimo del movimento hospice.
La maggior parte dei medici non raggiunge buone competenze psicoterapeutiche, anche se ha una conoscenza di base della psicologia cognitiva e comportamentale. Attualmente terapie per la dignità e una varietà di terapie di supporto e cognitive possono essere offerte ai morenti.
Tuttavia il trattamento del malato terminale ansioso, depresso, con disturbi del sonno e con delirio di solito crea profonde incertezze nei medici palliativisti.
Ma questi sono disturbi quotidiani nei morenti e la paura e l’ansia, che sono stati mentali differenti, generalmente accompagnano la malattia e la sofferenza sia del paziente che della famiglia. La diffusione della depressione maggiore è almeno del 15% e abbondano altri stati affettivi negativi.
La diagnosi differenziale dei disturbi dell'umore è fondamentale per una buona cura.
Infatti i farmaci antidepressivi non aiutano coloro che hanno un delirio ipoattivo o un disturbo dell’adattamento. In base al livello di declino terminale, molti pazienti possono sperimentare momenti angoscianti di delirio prima del coma e della morte. Si stima che l’incidenza del delirio nei pazienti in hospice raggiunga l'80%.
La gamma dei farmaci della medicina palliativa è prevalentemente psicotropa - farmaci antiemetici, benzodiazepine, coanalgesici ed oppioidi, ad esempio - e tutti hanno un potenziale di effetti collaterali neuropsichiatrici.
Le intense psicoterapie analitiche, associate ai primi decenni della pratica psichiatrica sono sconosciute ai medici moderni, anche se i loro principi sono relativi alle cure palliative. Formulare l'impatto dei fattori di sviluppo e di personalità su di uno stato clinico attuale è un ingrediente di base di tutta la pratica psichiatrica ed anche di tutta quella medica. Purtroppo il vasto corpo di conoscenza degli stati mentali anormali e la loro gestione non è familiare a molti specialisti di medicina palliativa.
Dopo aver inizialmente occupata una posizione un po' emarginata, il movimento hospice opera oggi in collaborazione sempre più stretta con il sistema sanitario occidentale tradizionale, un sistema basato su una filosofia biomedica centrata sulla malattia.
La routinizzazione, burocratizzazione, medicalizzazione e istituzionalizzazione delle cure palliative e hospice può non coincidere con la “buona morte”, uno degli obiettivi principali dell’assistenza hospice.
Integrare o realmente conservare la pratica olistica, è una sfida impegnativa.
L'emergere della medicina palliativa come una specialità medica, come prevedibile, è stato faticoso.
I veterani delle cure palliative (e io mi annovero in questa variegata categoria) scivolavano in questa specialità provenendo da altre discipline come la medicina generale, l’oncologia, l’anestesia, o come in un caso famoso, dall’anatomia.
Il restringimento dell'esperienza dei nuovi medici palliativisti comporta alcuni costi. L'integrazione nel flusso sanitario principale rischia la perdita delle “delicate” componenti psicosociali della cura, così apprezzate dai primi sostenitori.
Il passaggio dal Cristianesimo all’etica laica; il minor peso del punto di vista spirituale; il tempo più ridotto a disposizione di un personale molto impegnato; le sottili restrizioni imposte sul coinvolgimento di qualsiasi professionista non medico; la cura selettiva e deluxe per i pochi fortunati che vengono accolti nel sistema; l'abbandono necessario di chi sopravvive a lungo termine a strutture di cura meno intensa, possono diventare tutti effetti negativi di questa istituzionalizzazione della medicina palliativa.
Ma anche i problemi psichiatrici “pesanti” rischiano di essere trascurati.
La psichiatria ancora lotta per essere accettata e inclusa all'interno della disciplina medica. Le giovani generazioni possono dirsi fortunate se hanno avuto una esperienza in un ospedale psichiatrico, hanno assistito ad un suicida sul bordo di una scogliera o osservato una febbre malarica convulsa. Il loro coinvolgimento con la psichiatria è nella migliore delle ipotesi frammentario e arido. L’insegnamento della psichiatria agli studenti è ancora focalizzato sulle malattie non frequenti come la schizofrenia, il disturbo ossessivo-compulsivo e la depressione delirante piuttosto che sulle ansie comuni, gli sbalzi di umore e sulla più diffusa turba mentale, il delirio acuto. La maggior parte dei laureati in medicina, fino a quando non lavorano nel mondo reale, non incontrano “ la nuda condizione umana”. La follia allo stato puro è scioccante per il medico senza esperienza, come il morire lo è per l'impreparato. |
Una soluzione ovvia sarebbe invitare gli psichiatri ad assistere i nostri pazienti, ma questa proposta comporta tre problemi.
In primo luogo la maggior parte degli psichiatri hanno evitato i malati con problemi fisici dall'inizio della loro carriera, e chi può essere utile, ad esempio i consulenti psichiatri (coloro che lavorano negli ospedali pubblici), sono risorse rare (e quasi estinti con la riduzione dei bilanci per la salute nella maggior parte dei paesi).
In secondo luogo le esigenze psichiatriche di un hospice, anche se di entità fluttuante richiederebbero una grande presenza.
E forse il più importante deterrente per gli hospice di avere in organico gli psichiatri è che i malati fisici rifiutano i “medici dei pazzi”. Essi preferiscono vedere un'infermiera specializzata, un medico generico o forse un cappellano. L’opzione praticabile e preferita dai pazienti di cure palliative, è quella che i medici generici e gli specialisti di medicina palliativa acquisiscano adeguate competenze psichiatriche.
La psichiatria non può e non salverà la medicina palliativa.
Formare in psichiatria i nostri tirocinanti deve essere la soluzione.
Obbligare a una presenza a rotazione in pubblici ospedali psichiatrici, cliniche del dolore, psicogeriatrie e ospedali di riabilitazione sarebbe un approccio sensato.
Sempre più articoli di ricercatori indipendenti appaiono nella letteratura di cure palliative sulla depressione, il delirio, la psicoterapia e la psicofarmacoterapia, tuttavia raramente questi articoli sono in grado di dare pareri su problemi di gestione.
I malati fisici sono solitamente esclusi dagli studi psicofarmaceutici, la deontologia di non intervenire sui disturbi che preannunciano la morte, quali il delirio, è complessa, e misurare l’esito delle psicoterapie è estremamente difficile, quindi la letteratura è limitata.
Esaminare la letteratura è utile, ma la pratica reale è insuperabile per i tirocinanti.
L'apprendimento nella formazione avanzata deve venire dall’addestramento pratico.
Questa formazione deve raggiungere la popolazione clinica a cui la specialità è utile.
La follia e la morte sono paure primordiali per tutti noi.
La morte è inevitabile mentre la follia può non esserlo.
La medicina palliativa deve diventare raffinata dal punto di vista psichiatrico dato che il cervello e la mente peggiorano il gravame delle malattie terminali.
vai all'articolo originale >> Palliative Medicine and Psychiatry - A.D. (Sandy) Macleod - JOURNAL OF PALLIATIVE MEDICINE