Arthur L. Caplan, PhD: Sono Art Caplan, della Divisione di Etica Medica presso il Langone Medical Center dell’Università di New York. Benvenuti a Close-up. Questo è il nostro programma di confronto, quando abbiamo l'opportunità di parlare con i leader della sanità e della medicina sulle attuali questioni di politica etico-sociale. Sono insieme alla dottoressa Diane Meier, che dirige il Centro di Advance Palliative Care (che si trova presso la Scuola medica del Mount Sinai qui a New York) ed è una delle maggiori autorità mondiali in cure palliative. Sentiamo parlare di cure palliative, ma non sono sicuro che la gente sappia bene cosa sono. Qual è il fondamento delle cure palliative? [..]
[..]Diane E. Meier, MD: C'è ancora molta confusione su di esso, non solo tra il pubblico in generale, ma anche tra i medici. Il motivo della confusione è che la gente sa che l’hospice è una forma di cure palliative specifica per i moribondi. Infatti, lo statuto Medicare richiede che due medici certifichino che un paziente molto probabilmente morirà in breve tempo perché il paziente stesso possa beneficiare dell’hospice. Le cure palliative rappresentano il più ampio ambito di competenze e conoscenze che si applicano alla qualità della vita per le persone gravemente malate. Non hanno requisiti prognostici.
Dr. Caplan: Non c'è bisogno di essere malati terminali?
Dr. Meier: Non c'è bisogno di essere morenti. Non c'è nemmeno bisogno di avere una malattia incurabile. Ad esempio, ci prendiamo cura di routine di 24enni con leucemia acuta che stanno sottoponendosi ad un difficile trapianto di midollo osseo con una probabilità di guarigione del 75%. L'obiettivo può essere la cura, ma il trattamento è penoso, la malattia stessa è spiacevole, e c’è bisogno di un’assistenza qualificata per l'esperienza di malattia del paziente e della famiglia allo stesso tempo, hanno entrambi bisogno di competenze mediche specifiche per la malattia.
Dr. Caplan: Lei considera le cure palliative come nuotare controcorrente, mentre noi spesso le associamo con la fine della vita e una malattia terminale. State tentando di gestire il dolore e la sofferenza - le componenti più dure di molti trattamenti.
Dr. Meier: Certo dei trattamenti e anche delle malattie.
Come ottenere le Cure Palliative
Dr. Caplan: Come si fa a trovare qualcuno che fornisca cure palliative? Ci sono abbastanza sanitari che le forniscono?
Dr. Meier: Questo è un grosso problema. Sono preoccupata sul creare una domanda che non può essere soddisfatta, in quanto non ci sono sufficienti forze in campo.
Dr. Caplan: Ci sono troppo pochi addetti?
Dr. Meier: Ci sono troppo pochi medici, infermieri e assistenti sociali palliativisti specializzati, perciò a nostra volta non siamo in grado di fornire l'insegnamento ed il supporto ai nostri colleghi in oncologia, cardiologia, neurologia, medicina generale, pediatria, terapia intensiva – per parlare in termini di specializzazioni della medicina. Tutti hanno pazienti che sono gravemente malati, sia con malattie curabili ma difficili sia, più comunemente, con malattie croniche a lungo termine che non portano velocemente alla morte, grazie alla medicina moderna, ma con cui i pazienti rischiano di convivere per più di un decennio.
Dr. Caplan: Mettiamo che lavori nell’ambito delle cure primarie. Il mio paziente ha una malattia che comporterà un sacco di dolore e sofferenza, o il mio paziente è già sottoposto al trattamento. Come faccio a trovare qualcuno come lei?
Dr. Meier: Se si è legati a un ospedale con più di 50 posti letto - gli ospedali più grandi negli Stati Uniti - circa il 67% di questi ospedali adesso dichiara la presenza di un team di cure palliative. La maggior parte di queste équipe si concentra sui pazienti ricoverati. Alcuni di loro si sono espansi per essere in grado di fornire una co-gestione in ambito ambulatoriale - per esempio, nei centri oncologici - e alcuni intervengono addirittura nell’assistenza domiciliare e nelle case di cura. Il tutto è molto variabile, proprio come il resto del sistema sanitario degli Stati Uniti. C'è un sito web chiamato Get Cure Palliative con collegamenti ai programmi di cure palliative in diverse città. Ha una directory con un menu a tendina. Si può inserire il proprio codice di avviamento postale e appare l’elenco di che eroga cure palliative nella zona.
Dr. Caplan: Molti medici mi dicono: "Grazie a Dio per le cure palliative non ho bisogno di preoccuparmi. Sono una specialità, e per fortuna so dove posso ottenerle”. La sua risposta?
Dr. Meier: Vorrei che fossimo abbastanza, ma non accadrà mai. La stragrande maggioranza delle esigenze di cure palliative dovrebbe essere colta dal medico di base del paziente. Il problema è che i medici della mia generazione (quelli del baby boom), e anche i medici nati uno o due decenni dopo di me, non hanno ricevuto alcuna formazione nelle competenze e conoscenze necessarie per fornire cure palliative di alta qualità - per esempio, la terapia del dolore. La maggior parte dei medici non hanno ricevuto una formazione approfondita sull’utilizzo sicuro e appropriato degli analgesici oppioidi. Non è una cosa semplice da fare.
Preoccupazioni sul trattamento del dolore
Dr. Caplan: Mi sta ponendo una domanda che spesso mi viene rivolta dai medici in ansia: "Sì, voglio trattare il dolore, ma sono davvero preoccupato di finire nei guai; vedo alcuni nei guai con il Drug Enforcement Administration. Ed avere problemi con le loro licenze." Che dire sulla preoccupazione di prescrivere farmaci contro il dolore? Come risponde a queste preoccupazioni?
Dr. Meier: Si ha ragione ad essere preoccupati perché questi non sono farmaci banali e comportano effetti collaterali significativi - proprio come quando i medici sono addestrati ad usare, per esempio, i corticosteroidi. Si tratta di farmaci con enormi vantaggi e altrettanto grandi rischi. I medici non dovrebbero usare questi farmaci se non sanno come dosarli in modo appropriato, come decrescere correttamente i dosaggi, come prevenire gli effetti collaterali, e come affrontare cose che possono essere molto difficili, come il delirio agitato in una persona anziana. Gli oppioidi sono simili, ma la maggior parte dei medici non ha avuto altrettanta formazione su come usarli. La maggior parte dei professionisti a metà carriera ha iniziato ad esercitare senza un'adeguata formazione e supporto. Questa è la ragione per cui il dolore è insufficientemente trattato, da un lato, e c’è un’eccessiva prescrizione di oppioidi inadeguati per persone che non dovrebbero usarli, come chi ha il mal di schiena, l’emicrania, o la fibromialgia.
Dr. Caplan: Questa è una grossa domanda, ma la faccio comunque: Nei nostri ospedali si dovrebbe provare dolore? Dovremmo essere in grado di controllare o far fronte al dolore forte? Dove voglio arrivare è: ci sono troppe persone con un dolore che si può prevenire?
Dr. Meier: Assolutamente. Abbiamo appena affrontato le ragioni di ciò. La prima sono le preoccupazioni molto appropriate dei medici circa l'abuso e l'utilizzo inappropriato di oppioidi e la loro mancanza di addestramento al loro uso sicuro. La maggior parte dei sintomi dolorosi può essere gestita, ma bisogna seguire una procedura. Manderesti un medico a fare una appendicectomia senza averlo preparato? No.
Dr. Caplan: Proprio no.
Dr. Meier: È un intervento chirurgico abbastanza semplice, ma non si nasce sapendolo fare. Prima si osserva un mucchio di volte, si studia su di esso. Si esegue più volte con qualcuno proprio dietro pronto a intervenire prima di fare da soli. La gestione del dolore è lo stesso.
Può essere prevista la dipendenza?
Dr. Caplan: Molti si chiedono o temono che, se ci sono le cure palliative e le promuoviamo, stiamo iper prescrivendo farmaci antidolorifici. Stiamo così creando dei tossicodipendenti.
Dr. Meier: Come ogni paura, c'è un nocciolo di verità nella preoccupazione, anche se c'è anche una reazione eccessiva. Si chiama uso sregolato delle sostanze dalle mie parti, e ci sono strumenti per la valutazione del rischio.
Dr. Caplan: Sono attendibili?
Dr. Meier: Sì, lo sono. Ad esempio, se la vedessi come un nuovo paziente oncologico nel mio studio e avesse dolore, potrei pensare di prescrivere degli antidolorifici oppiacei perché il Tylenol e il Motrin non hanno funzionato ed il dolore invalidante sta colpendola dal punto di vista funzionale, ma dovrei porle una serie di domande sul suo consumo di alcol, sull’abitudine al fumo, sul suo precedente uso di marijuana e di altre sostanze attualmente illegali, e dovrei controllare se ci fossero dei precedenti familiari.
Dr. Caplan: Cioè, predisponenti ad un comportamento di dipendenza?
Dr. Meier: Sì. Dovrei cercare altri fattori predisponenti, come ad esempio una storia personale o familiare traumatica, una violenza sessuale, o emotiva, o una violenza fisica. Questi sono tutti forti predittivi del rischio di uno scorretto uso delle sostanze. Questo non vuol dire che se il paziente è a rischio io non prescriva, ma lo farò con un controllo molto più stretto. Potrei prescrivere per una settimana alla volta invece di un mese alla volta. Chiamerei entro un giorno della prescrizione per vedere come vanno le cose. Farei in modo che la sua famiglia sappia come verificare se ci sono problemi.
Dr. Caplan: Pensa che sia possibile gestire questo rischio di abuso abbastanza bene?
Dr. Meier: Sì. Ci vuole esercizio. La mia organizzazione, il Centro di Advance Palliative Care, sta sviluppando moduli di formazione on-line per i medici. Ci saranno 12 moduli brevi per l'uso sicuro ed appropriato degli oppioidi che riguardano sia la riduzione del rischio che la gestione adeguata del dolore.
Un punto molto importante è far sì che i medici capiscano la differenza tra dipendenza e assuefazione. Gli antidolorifici oppiacei sono simili a molti altri farmaci come i corticosteroidi e gli antidepressivi. Se si interrompono bruscamente, il paziente avrà una notevole sindrome da astinenza. Questo non è vero solo per gli oppioidi; è vero anche per molti altri farmaci comunemente usati, tra cui i beta-bloccanti per l’insufficienza cardiaca o l’ipertensione. C'è confusione all'interno del mondo clinico sul fenomeno dell’astinenza - quando le persone che assumono un antidolorifico vanno in astinenza - si crede che siano diventati dipendenti. Non è così.
Dr. Caplan: È solo difficile far smettere l’assunzione di molti farmaci.
Dr. Meier: Giusto. Bisogna ridurli. Possiamo identificare in modo non casuale le persone che hanno un rischio superiore alla media di sviluppare una dipendenza o un uso inappropriato dei farmaci? Sì, possiamo. Ci sono strumenti ben validati per valutare ciò.
Uso medico della marijuana: ideologia, non scienza
Dr. Caplan: Cosa pensa della legalizzazione della marijuana per uso medico.
Dr. Meier: Il problema con la marijuana per uso medico è che è un movimento più ideologico che scientifico. Si tratta del diritto americano all’autonomia e alla libertà, e "Se vogliamo la marijuana, accidenti, datecela".
Dr. Caplan: Si ricordi che sta parlando a un bioeticista. Amiamo quei valori di autonomia.
Dr. Meier: Si suggerisce al pubblico che questo è qualcosa che si può fare per ribellarsi contro "l'uomo" e ottenere che i propri sintomi siano trattati. La marijuana, anche se non è probabilmente peggiore dell’alcol, comporta un rischio significativo. Danneggia la cognizione.
Dr. Caplan: In Colorado, stavano cercando di capire quale livello rappresenti un pericolo, quando si guida un veicolo a motore.
Dr. Meier: Che diventi disponibile a livello sanitario, non significa che lo diventi per divertirsi. È molto evidente che anche negli stati che l’hanno legalizzata in medicina, le indicazioni cliniche sono, per così dire, vaghe.
Dr. Caplan: Il Colorado non solo ha legalizzato la marijuana per uso medico; è anche uno degli stati che l’hanno legalizzata ad uso ricreativo, ma stanno ancora enfatizzando l’aspetto medico. Ho dovuto partecipare ad un esperimento per vedere cosa stava succedendo lì. È ancora sotto l’egida della salute/medicina, anche se è puramente per uso ricreativo. Si acquista molto in base all’autorità della medicina.
Il movimento per il suicidio assistito
Dr. Caplan: Cambiamo argomento, voglio tornare al tema della fine della vita. Lei ha spiegato molto chiaramente che le cure palliative non sono l'equivalente dell’hospice. Non riguardano solo i malati terminali. Molti pensano che ciò che dobbiamo fare per persone morenti non sia fornire loro cure palliative, ma dare loro una via d'uscita. Quindi le chiedo il suo punto di vista sul suicidio assistito. Alcuni stati - Oregon, Washington, Vermont - si stanno muovendo in questa direzione. È coerente con le cure palliative o non ha niente a che fare con loro? Come la pensa?
Dr. Meier: Direi che non ha nulla a che fare con le cure palliative. Questo fa parte del movimento americano del "diritto di autodeterminazione, autonomia a tutti i costi". Questo non vuol dire che io abbia una personale obiezione morale per le persone che controllano le circostanze e la tempistica della loro morte. Io sono preoccupata per la linea di condotta pubblica perché essa deve rivolgersi al minimo comun denominatore dei medici che può essere piuttosto basso. Allora avete una linea di condotta che dipende dai medici che valutano i pazienti e distinguono tra depressione curabile o crisi familiari risolvibili che spingono le persone a dire: "Starei meglio se fossi morto. Non hanno bisogno di più di me". La diagnosi differenziale sul desiderio di morire presto è lunga. Bisogna indagare abilmente su 10 o 12 cose diverse. La maggior parte dei medici non hanno né il tempo né la capacità di farlo.
Dr. Caplan: Ritengo che sia ancora meno entusiasta di alcuni di questi movimenti in Europa, che estendono il suicidio assistito al deterioramento psichiatrico e alla sofferenza infantile.
Dr. Meier: Penso che non dovremmo neanche parlare di legalizzazione del suicidio assistito finché non abbiamo garantito l'accesso a cure palliative di alta qualità. Ciò comprenderà sia il miglioramento delle competenze di tutti i medici in modo che possano rispondere alla sofferenza dei loro pazienti con maggiori conoscenze e capacità, sia incrementando il ricorso agli specialisti per i pazienti molto complessi. Sono spesso chiamata dai colleghi come specialista di cure palliative quando i loro pazienti chiedono un aiuto per morire. Questo è complesso ed impegnativo, e richiede una formazione supplementare, abilità e tempo.
Dr. Caplan: Anche se ho scherzato sui bioeticisti che amano l’autonomia, verrò allo scoperto e dirò che sono molto in sintonia con il suo punto di vista riguardo a ciò che è necessario valutare per essere sicuri che la richiesta sia autentica, non solo una richiesta depressa o disperata. Sono d'accordo, è difficile - se non si ha un pieno accesso a cure palliative di buona qualità - fare una scelta.
Separare il dolore e la sofferenza
Dr. Meier: Ho avuto pazienti che mi hanno detto: "Voglio che tu mi dia una pillola per poter morire, perché non ne posso più di fare ancora questa chemioterapia. Non lo posso dire al mio oncologo”. Questa è una ragione? No. Oppure: "Non ce la faccio più a sopportare questo dolore ed il mio medico non è riuscito a tenerlo sotto controllo". Proviamo qualcos'altro. Le persone non vedono che ci sono altre opzioni. Pensano che se ci fossero altre possibilità, i loro medici gliele avrebbero già offerte, ma i loro medici non le hanno perché non hanno avuto la formazione e il sostegno per dare risposte a tali questioni, perciò le persone si sentono disperate. Non sanno che potrebbe essere molto meglio. Un'altra parte importante di ciò che facciamo è cercare di guidare la consapevolezza del pubblico su ciò che le cure palliative sono, in modo che i pazienti e le famiglie non si sentano disperati, e non finiscono per sentirsi a tal punto alle corde da pensare che l'unica via d'uscita è quello di gettarsi da un edificio o spararsi.
Dr. Caplan: Scegliere richiede opzioni. Se non si dispone di tutte le opzioni, non si ha davvero scelta. Vorrei concludere questa intervista con una domanda filosofica più profonda. Abbiamo parlato molto di dolore e del controllo del dolore. Quando sono molto malati, molti si chiedono: "Perché sta succedendo a me? Sono colpevole. Sono emotivamente sconvolto. La mia famiglia mi abbandona o non stanno facendo quello che speravo che avrebbero fatto. Mi sento solo". Come gestiamo questi elementi di sofferenza? Ci piace distinguere in modo filosofico tra dolore e sofferenza. Che cosa facciamo per la sofferenza, non per il puro dolore?
Dr. Meier: Sono sicura che avete già sentito questo. Cicely Saunders, la fondatrice del moderno movimento delle cure palliative, era solita parlare di sofferenza totale. La maggior parte di ciò riguardava questioni di significato e di scopo, di relazioni e di eredità, di rammarico e del bisogno di perdono. Affrontare questi elementi è in realtà ciò che fa la differenza tra una buona e una cattiva esperienza nel processo evolutivo che comporta vivere una grave malattia e avvicinarsi al termine della propria vita. Ovviamente, non si possono affrontare queste problematiche se si prova un dolore lancinante o non si riesce a respirare. Proprio come disporre di cibo e acqua è una necessità se vogliamo pensare e leggere dei libri, mantenere sotto controllo il dolore e gli altri sintomi è una necessità se vogliamo affrontare gli aspetti dell'essere umano più importanti e di livello superiore.
Dr. Caplan: Un paziente una volta mi ha detto: "Non posso rifiutare ulteriori chemioterapie" - anche se sapeva abbastanza bene che non avrebbero giovato al suo cancro diffuso al colon - "perché non voglio apparire un codardo di fronte alla mia famiglia”.
Dr. Meier: Sentiamo spesso cose simili. Sentiamo: "Non voglio deludere il mio oncologo". Mentre l'oncologo sta dicendo: "Non voglio che la mia paziente pensi che la sto abbandonando". C'è un grande senso di fallimento. Il fallimento è nella comunicazione. Come qualcuno ha detto, il più grande problema con la comunicazione è l'illusione che sia avvenuta. Un elemento centrale della formazione in cure palliative - che ogni medico dovrebbe ricevere, ma che non riceve - è la capacità di comunicare. I medici ritengono che la comunicazione sia parlare, ma in realtà è soprattutto ascoltare ed aprire il dialogo sulle cose che sono nella mente del paziente, ma non sono ancora state pronunciate, non sono state dette ad alta voce. È affascinante. Gli psichiatri lo sanno. L'atto di dire ad alta voce le cose che erano inconsce modifica il peso di quel sentimento e di quell’esperienza. Ciò permette al paziente o al familiare di vedere quel sentimento con un certo distacco e di prendere una decisione su come agire su di esso.
Dr. Caplan: Voglio fermarmi sull'ultima cosa e dire che, se colgo il messaggio nelle sue osservazioni, quando si parla di sofferenza a volte l'ascolto è davvero una parte fondamentale della terapia - solo ascoltare con attenzione. Questo è un grande messaggio. Abbiamo sentito un sacco di grandi idee e alcuni importanti suggerimenti sui luoghi ove trovare le risorse. Voglio ringraziarla per aver dedicato un po’ di tempo con noi a questo ambito di cruciale importanza.
vai al contributo originale: >> Have We Overlooked Palliative Care as an Answer to a Patient's Suffering? Medscape. Sep 25, 2014.