Introduzione
Una nuova ricerca è in corso presso l'Università di Lancaster per studiare come vengono erogate le cure palliative e di fine vita ai detenuti che probabilmente moriranno per cause naturali mentre sono ancora reclusi. L’articolo evidenzia alcune delle complessità insite nel fornire cure palliative in un ambiente carcerario ed espone i primi risultati della ricerca che suggeriscono alcuni modi per migliorare le cure di fine vita per questi trasgressori della legge.
Molti quando si parla di morte in carcere possono pensare prevalentemente al [...]
[...] suicidio o forse all’omicidio. I decessi prevedibili - a causa di problemi di salute cronici, malattie mortali, invecchiamento e debolezza - potrebbero non venire subito in mente riguardo alla popolazione carceraria. Infatti, dopo la liberazione dei prigionieri di alto profilo come Ronnie Biggs (grande rapina al treno) e Abdulbaset al Megrahi (attentato di Lockerbie), si potrebbe pensare che se un detenuto è gravemente malato o disabile, venga rilasciato per motivi umanitari. Tuttavia, la situazione attuale nelle prigioni (sia nel Regno Unito che altrove) è che i prigionieri più anziani costituiscono la parte della popolazione carceraria in più rapida crescita.
Ci sono più di 10.000 prigionieri di 50 anni o più (il 12% della popolazione carceraria totale), e tra questi più di 100 sono ottantenni o oltre (Prison Reform Trust, 2014A). La realtà è che pochissimi prigionieri vengono rilasciati per motivi umanitari; solo 48 (sui circa 900 che sono morti per cause naturali) lo sono stati nelle carceri inglesi tra il 2006 e il 2011 (BBC News, 2011). Ciò significa che il personale del carcere (sanitario e di custodia) così come i detenuti, devono sempre più fronteggiare un complesso insieme di sfide legate alla morte naturale in carcere e al bisogno dei detenuti di cure palliative e di fine vita.
Anche se i prigionieri di età superiore ai 50 anni definiti “anziani” possano sembrare giovani nell’attuale contesto dell’invecchiamento sociale, c’è un significativo insieme di prove che dimostra che il carcere invecchia prematuramente le persone di circa 10 anni.
Questo invecchiamento avviene in una popolazione che proviene prevalentemente dalle comunità indigenti e svantaggiate, con alti tassi di droga, alcolismo e cattiva salute (Hayes et al., 2012). L'immagine di un numero crescente di detenuti anziani e fragili è ulteriormente complicata dalla natura dei loro reati, oltre il 40% dei detenuti più anziani sono autori di reati sessuali (Prison Reform Trust, 2014B). È importante riconoscere l'impatto del cambiamento di mentalità della società sugli abusi sessuali e, in particolare, quello che è stato definito “abuso storico”. Anche se la crescita della popolazione carceraria deriva da un clima politico più punitivo, è anche vero che dare maggior attenzione alle violenze sessuali su donne e bambini è un passo positivo. Tuttavia, questo ha aumentato il numero degli uomini che vanno in prigione per la prima volta molto tardi nella vita.
Questo cambiamento di atteggiamento significa che probabilmente un maggior numero di trasgressori a sfondo sessuale saranno imprigionati nel tempo, e molti di loro richiederanno cure di fine vita.
La Strategia Nazionale per le Cure di Fine Vita, pubblicata dal Ministero della Salute nel 2008, stabilisce un quadro per garantire che tutti gli adulti ricevano cure di alta qualità, alla fine della vita e ciò include esplicitamente i carcerati: “le persone detenute in carcere [...] dovrebbero essere trattate con dignità e rispetto e godere della massima scelta possibile circa le cure quando si avvicinano alla fine della loro vita”. (Department of Health, 2008, paragrafo 4.71)
Lo studio sul morire in carcere si svolge, quindi, in questo complesso contesto contemporaneo.
La ricerca
Lo studio “I due lati della barricata” è finanziato dalla Marie Curie Cancer Care (2013) e si svolge in una prigione nel nord dell'Inghilterra che ha un’elevata popolazione di detenuti anziani e disabili.
I ricercatori sono universitari, esperti di cure palliative ed il direttore di una prigione. La ricerca utilizza la metodologia della ricerca partecipata dell’azione, per sviluppare un modello di cure palliative che si possa esportare in altre prigioni.
La prima fase dello studio è stata un’analisi della situazione, in cui si sono raccolti i dati sui partecipanti allo studio (sia il personale che i detenuti) in un gruppo di discussione e in colloqui individuali; i ricercatori hanno anche osservato e registrato le interazioni del personale chiave, partecipato alle riunioni del carcere e ascoltato il personale di cure palliative della comunità e dell’hospice locale che lavora a stretto contatto con la prigione.
Lo scopo di questa prima fase è quello di esplorare in profondità ciò che accade nel carcere in relazione alle cure palliative e di fine vita. Inoltre, i ricercatori hanno studiato il caso di un detenuto che si sta avvicinando al termine della sua vita, intervistando lui ed anche le persone coinvolte nella sua cura e supporto. Altri casi verranno studiati se le circostanze lo consentiranno.
La seconda fase è attualmente in corso per individuare, con i membri chiave del personale carcerario, i settori cui si potrebbero apportare modifiche per migliorare l’erogazione delle cure palliative e di fine vita. Questi cambiamenti devono poi essere attuati e valutati come parte della ricerca. Infine, ci sarà una breve terza fase alla fine dello studio con incontri-laboratorio (definiti "comitati deliberativi") per condividere i risultati della ricerca e concordare le raccomandazioni per le linee di condotta, la pratica e le ulteriori ricerche.
Dall’analisi preliminare dei temi chiave di “I due lati della barricata” è emersa una grande quantità di dati dettagliati che saranno pubblicati in futuro, dopo la conclusione dello studio. Ora si accenna solo a tre questioni: l'ambiente carcerario; il personale e le risorse; conseguenze personali ed emotive.
L'ambiente carcerario
Le questioni ambientali, tra cui il design, la pianta e le strutture degli edifici carcerari, spesso rappresentano delle sfide sia per il personale che per i detenuti. Molti edifici sono vecchi e sono stati progettati per detenuti più giovani ed in forma di quelli attualmente ospitati, ed anche le nuove carceri non sono sempre adatte per le persone anziane. In questo studio, il direttore ha descritto la prigione (costruita nel 1979) come “non adatta allo scopo”, ma ha riconosciuto che non ci sono soldi per migliorare le strutture.
Una cella normale è troppo piccola per un letto di tipo ospedaliero, e la disponibilità per i detenuti di docce, lenzuola pulite e abbigliamento è limitata, come un infermiere ricorda: “Il signor H, ad esempio, era incontinente, soprattutto di notte. Non c'era alcuna possibilità di metterlo sotto una doccia. Gli abbiamo detto: ‘Non si può, tutti dormono’. Perciò abbiamo dovuto, tre di noi, sostenerlo nella ristretta cella, lavarlo e cambiarlo. Nessuno aveva un cambio pulito: prendevamo in prestito quello che trovavamo, alle tre del mattino”.
Alcune carceri hanno creato specifiche strutture per le cure palliative, con celle più grandi dotate di servizi igienici privati con abbastanza spazio per attrezzature come letti ospedalieri e sollevatori; la prigione in cui si svolge la ricerca sta attualmente pianificando una trasformazione simile.
Per motivi di sicurezza, le guardie carcerarie devono essere presenti quando gli infermieri entrano nelle celle per visitare o curare i pazienti malati, ma può richiedere molto tempo trovarle in numero sufficiente, soprattutto di notte. Le norme di sicurezza possono anche avere un impatto sui membri della famiglia che desiderano visitare un detenuto molto malato o vicino alla morte.
Carenze di personale e di risorse
La prigione in cui si svolge lo studio è stata molto disponibile nei confronti della ricerca, facilitando l’incontro con il personale ed i detenuti e riconoscendo gli ostacoli che si devono affrontare nel tentativo di fornire un’assistenza di fine vita decente e dignitosa. Questo non è il solo carcere a fronteggiare uno dei più grandi cambiamenti nella composizione della popolazione detenuta negli ultimi decenni, ma lo fa con risorse ridotte a seguito del processo nazionale di “analisi comparativa”. Il Regno Unito ha già il sistema carcerario maggiormente privatizzato in Europa (Prison Reform Trust, 2014B) e questo processo mira esplicitamente a introdurre ulteriori forze di concorrenza e di mercato in un servizio che prima era nel settore pubblico, come affermato nel Documento di sintesi 2013-2014 del Servizio Nazionale per il Trattamento dei Trasgressori della Legge (“Siamo determinati a ridurre ulteriormente il costo delle carceri. Lo faremo applicando gli innovativi modelli di erogazione e i risparmi di efficienza analizzati comparativamente ottenuti attraverso la competizione per l'intero settore carcerario. I servizi di custodia fondamentali continueranno ad essere forniti dal settore pubblico, ma ad un costo molto più basso. NOMS 2013: 10)
Forse non sorprende che molto personale carcerario sia estremamente critico riguardo al processo di analisi comparativa che considerano dannoso ed anche pericoloso. Tra i tanti che hanno espresso preoccupazioni c’è il capo delle carceri, Nick Harding, come riporta il quotidiano The Guardian (2014): “A mio parere, è impossibile evitare la conclusione che la congiunzione tra risorse, popolazione e linee di condotta [...] è stata un fattore molto importante per il rapido deterioramento della sicurezza”.
L’analisi comparativa ha portato ad una complessiva riduzione del personale carcerario, ma la ricerca evidenzia che la perdita dei funzionari con maggiore anzianità ed esperienza incide grandemente sulle cure palliative e di fine vita. Alcuni competenti agenti di polizia penitenziaria hanno citato il “mestiere della galera” con cui definiscono la conoscenza e l'intuizione che si acquisisce con anni di esperienza. I funzionari che utilizzano il mestiere della galera tendono a possedere eccellenti doti di comunicazione e sono altamente consapevoli delle sfide generate dal lavorare con persone che si avvicinano alla morte; tali funzionari sono generalmente molto stimati dai colleghi e dai detenuti. Inoltre, i recenti tagli di organico hanno seriamente eroso il tempo a disposizione del personale per parlare e ascoltare i detenuti, compresi quelli che si avvicinano alla fine della vita.
Conseguenze emotive per il personale
Confrontarsi quotidianamente con detenuti fragili, vecchi e vicini alla morte può scatenare reazioni emotive complesse nel personale, in particolare negli addetti alla disciplina che di solito non si trovano in tali situazioni: “Penso che chi entra nel Servizio Carcerario non si aspetti di affrontare situazioni di fine vita [...] soprattutto con le persone anziane. Non credo che suppongano che abbiamo una tale comunità di anziani in carcere. Quando parlo con amici mi dicono, 'Bene, quanti anni hanno?' io rispondo 'Abbiamo persone di 88 anni.' Sono increduli, e preciso 'Sì, è più simile a una casa di cura che a un braccio di prigione”. (Direttore del braccio VP)
Le guardie carcerarie richiedono una formazione specifica ed adeguata e sostegno per poter far fronte a ciò che un partecipante alla ricerca ha descritto come questo “triste” lavoro. Gli infermieri e il personale sanitario sono spesso meglio in grado di gestire tale lavoro; la maggior parte di loro hanno avuto precedenti esperienze di morte e del morire, ed entrano nell’infermeria del carcere consapevoli del fatto che potrebbero avere a che fare con persone che si avvicinano alla morte. Le loro preoccupazioni sono incentrate principalmente sui problemi che devono affrontare nel fornire un'adeguata assistenza sanitaria, in particolare in relazione alle problematiche di fine vita; avvertono acutamente che, nonostante “facciano del loro meglio” c’erano dei grandi problemi che non era in loro potere risolvere: “Ci sono molti vincoli. Non possiamo sempre dare i farmaci al momento giusto [...] Cerchiamo come meglio possiamo di somministrare i farmaci a intervalli regolari, in particolare per quelli che sono agli ultimi giorni, ma non sempre possiamo. E spesso mi sono trovata a sentire o pensare ‘avrà dolore’?”. (Infermiera)
Conclusione
La ricerca “I due lati della barricata” dovrebbe terminare alla fine di novembre 2015. Molti dei problemi incontrati hanno implicazioni nazionali, e il gruppo di ricerca è alla ricerca di ulteriori finanziamenti per continuare ad indagare su questo settore complesso ed importante.
Le cure di fine vita in carcere sollevano una vasta gamma di problematiche etiche, politiche, di prospettiva e pratiche, non ultima se il carcere possa mai essere una sistemazione appropriata per il morire.
Le decisioni politiche in merito agli indirizzi di condanna hanno portato ad avere più reclusi con condanne lunghe, in un momento in cui i tassi di criminalità sono in calo; questi cambiamenti hanno dato origine ad un rapido aumento del numero delle persone che muoiono in carcere. La sfida costante per il personale del carcere è di garantire a coloro che stanno per morire in carcere di avvicinarsi al termine della vita con dignità e compassione: “Penso che tutti, non importa quale sia la loro condizione, meritino un pari grado di cura e di dignità; e anche le loro famiglie dovrebbero ricevere tale sostegno. Se fossero nella comunità lo riceverebbero e quindi che differenza c’è? Solo perché sono detenuti, solo perché hanno sbagliato nella vita, ma non l’abbiamo fatto tutti? (Family Liaison Officer).
Mary Turner and Marian Peacock, Lancaster University
ECAN bulletin issue 25, January 2015