“Trovo che invecchiare sia uno sporco affare senza vantaggi.” dice l’attore Woody Allen. “Ho 74 anni, e non divento più intelligente, saggio, comprensivo o gentile. La schiena fa più male e la vista è meno acuta. Ve lo sconsiglio, se riuscite ad evitarlo, rimanete giovani e cercatevi una ragazza.” Quando gli ho chiesto come si sentiva riguardo alla morte ha replicato: “La mia relazione con la morte non cambia, sono proprio contrario”.
Nonostante il suo humor Allen, sulla morte ed il morire, riporta ciò che molti sentono. L’umanità, storicamente, ha sempre dovuto confrontarsi con la morte. Tutte le religioni e le culture hanno i loro rituali, preghiere, credenze sul processo del morire e su quello che chi sopravvive deve fare.
Durante l’avvicinarsi della morte tutte le religioni e le culture hanno avuto e continuano ad avere, una serie di rituali per permettere a chi vive di anticipare e adattarsi al distacco e di onorare in qualche modo chi sta morendo o è già morto. Molto è stato scritto su questo e chi esercita la medicina si confronta con tutto ciò.
Questo articolo è incentrato sulle fedi monoteistiche occidentali, dato che sarebbe impossibile riferirsi alle pratiche e alle credenze di tutto il mondo. Inoltre la letteratura concerne principalmente le sfide e i conflitti del mondo occidentale dove ci sono persone che non hanno una credenza [...]
[...] religiosa o che seguono una delle principali evoluzioni dell’Antico Testamento.
Con i progressi della moderna medicina, molti dei rituali relativi all’avvicinarsi della morte sono stati modificati o influenzati dalle potenzialità della clinica moderna di modificare la traiettoria della morte, grazie a farmaci, soprattutto gli antibiotici, o interventi quali il pacemaker, il respiratore o la rianimazione cardio-polmonare che è iniziata negli anni ’60 dello scorso secolo e che è progressivamente diventata più efficace ed accettata come normale prassi medica.
Dato che, però, nei pazienti molto anziani o con gravissime patologie, il beneficio era minimo, negli anni ’80, con lo svilupparsi del principio dell’autonomia decisionale del paziente, si è cominciato a chiedere loro se fossero favorevoli alla rianimazione in caso di arresto cardiaco.
Per molti pazienti e familiari la rianimazione era un “resuscitare” o comunque un evitare una morte certa. I media hanno contribuito a diffonderne l’esagerata fiducia che ne richiedeva l’utilizzo sempre e comunque, così come quello degli antibiotici per il trattamento delle infezioni nella terminalità, soprattutto respiratorie o urologiche, che rappresentano il segnale che il corpo non è più in grado di mettere in opera i normali meccanismi di difesa e quindi l’infezione diviene il naturale percorso della morte. I tentativi, con somministrazione endovenosa di antibiotici, sono spessissimo al di là di ogni probabilità di successo, ma il 90% dei pazienti terminali ricevono antibiotici nell’ultima settimana di vita.
CASO CLINICO
Un paziente maschio di 84 anni, dopo 10 anni di leucemia mieloide cronica, ha sviluppato nell’undicesimo anno un’evoluzione esplosiva in cui anche la chemioterapia non diede alcun beneficio. Questo aggravamento provocò episodi di anemia e sanguinamento dovuti a citopenia, nonché ripetute infezioni polmonari e urinarie, queste ultime peggiorate dalle ritenzione vescicale dovuta ad ipertrofia prostatica. Con il consenso del paziente e dei familiari gli furono somministrati derivati del sangue (globuli rossi e piastrine) che ridussero gli episodi di sanguinamento che spaventavano paziente e famiglia. Fu assistito a casa da una famiglia molto dedita e gli furono somministrati anche oppioidi per alleviare il dolore osseo, complicato da molti anni di artrite. Man mano che le condizioni peggioravano il paziente richiese successivi ricoveri ospedalieri per la somministrazione dei derivati ematici, degli antibiotici e degli oppioidi. La famiglia, dopo essersi confrontata con l’ematologo che lo seguiva, aveva deciso, non senza un’approfondita discussione su tematiche spirituali, di non ricorrere alla rianimazione in caso di arresto cardiaco, ma di proseguire, anche se avevano accettato i principi delle cure palliative, gli antibiotici e i derivati ematici.
Durante gli ultimi giorni prima della morte che avvenne senza sofferenze, venne infuso dato che aveva cessato di nutrirsi e di bere e gli vennero somministrate cefalosporine.
Dopo la morte, la moglie, con senso di devozione per il morto, riferì nella settimana del lutto ebraico, che era stato curato molto bene, che stato fatto tutto il possibile fino alla fine, che non aveva sofferto e che il marito aveva ricevuto potenti antibiotici e prodotti ematici finché era spirato.
Era evidente quanto fosse importante per lei nell’inquadrare la morte del marito ricordare dettagliatamente tutto ciò.
INSERIMENTO TRA I MODERNI RITUALI DEL MORIRE
Nel mondo occidentale odierno una complessa commistione di religioni e culture che conservano tradizioni antiche si fonde con l’influenza che la moderna medicina proietta sui tradizionali comportamenti culturali e religiosi. Una modifica delle aspettative in relazione al sistema sanitario evolve, generalmente, nell’adeguarsi alle possibilità ed agli standard del paese dove si vive, secondo l’esperienza di tutti i medici del Nord America e dell’Europa occidentale.
Cosa significa ciò rispetto alle aspettative di aderenza ai rituali della morte e del morire. Ad esempio per i seguaci delle 3 religioni adamitiche il dovere del medico e dei sanitari di “salvare la vita” si trasforma nell’obbligo di utilizzare le moderne tecnologie per raggiungere questo scopo, anche se in realtà ciò è fattibile solo per minuti, ore o, talvolta, giorni.
Un recente caso giudiziario, nell’Ontario, riguarda una persona proveniente da un paese dove non sarebbe stato possibile mantenerlo in vita in un reparto di terapia intensiva, essendo in uno stato di coscienza minima da un anno. La famiglia pretendeva che il trattamento fosse proseguito anche se i medici che lo seguivano avevano comunicato che non poteva riprendersi. Tra le argomentazioni utilizzate dalla corte per decretare la prosecuzione del trattamento c’erano in primo luogo una serie di sottigliezze legali sull’interpretazione corretta del consenso, della legge dell’Ontario e di quale terapia potrebbe costituire un trattamento per il quale ci voleva un nuovo consenso. Solo verso la fine della motivazione della Corte suprema erano menzionati i valori religiosi che erano interpretati dalla famiglia come un obbligo a mantenerlo in vita nonostante gli schiaccianti pronostici ed i crescenti costi.
Il concetto etico occidentale di una giustizia distributiva che non può trascurare i costi finanziari dell’assistenza, non è neanche entrato nella decisione finale che imponeva ai medici di proseguire il trattamento; i valori religiosi e culturali, nonché i rituali che li accompagnavano, sembravano avere una valenza notevole per la famiglia e in alcune osservazioni che portarono alla decisione del tribunale.
Anche se la corte non aveva posto l’accento prioritariamente sulle preferenze ed idee religiose del paziente e della moglie, i media compresi quelli basati sull’etica e la religione, hanno interpretato la decisione come un riconoscimento che le vedute e le preferenze religiose erano la causa della risoluzione.
Come riportato in un commento del Rotman Institute of Philosophy: “Una corretta analisi dei danni e dei benefici deve considerare i valori del paziente perché tra i danni ci sono la violazione dell’autonomia del paziente, il senso del sé ed i valori intimi. Può essere che il paziente valuti la prosecuzione della vita più del benessere fisico, come nel caso del sig. Rasouli, le cui credenze religiose lo vincolavano a preservare la vita anche a fronte di gravi sofferenze”.
RITI COMUNEMENTE PRATICATI E RITUALI ANTECEDENTI LA MORTE
Come spiegato nel suo articolo sulle culture e sui riti della morte e del morire, O’Gorman dà un esempio sull’ebraismo: “Nell’ebraismo ortodosso i riti del commiato iniziano con l’approssimarsi della morte, vi partecipano i familiari ed il morente. Chi se ne va chiede perdono per i passati errori e augura un futuro di benessere ai suoi cari. I familiari danno il loro addio e tutti insieme recitano preghiere di speranza. Non appena sopraggiunge la morte il corpo è preparato per la sepoltura da dei volontari, appartenenti alla chevra kadisha e appositamente preparati”.
Anche altri importanti adempimenti hanno molta importanza per i credenti osservanti ma le antiche pratiche della tradizione ebraica sono seguite anche da coloro che non sono particolarmente attenti ai riti.
Per i cattolici, come indicato in un articolo sulle abitudini spagnole contemporanee, c’è una quasi universale procedura: “Il morente riceve l’olio santo da un prete, si confessa e riceve l’assoluzione. Quando il paziente è ancora in grado di farlo, riceve la comunione ed una benedizione da parte del prete”.
PRATICA MEDICA CONTEMPORANEA
Se si lavora in un centro per la formazione medica si ha l’opportunità di osservare come i giovani medici strutturano le domande da rivolgere ai familiari, specialmente se sono delegati a prendere decisioni.
Una domanda frequente è: “Come volete che ci comportiamo in caso che il cuore di vostra madre o di vostro padre improvvisamente cessi di battere? Dobbiamo provare con la rianimazione cardio-polmonare o solamente lasciarlo morire?”.
Con una domanda formulata così è veramente difficile per l’interpellato prendere una decisione e rispondere, a meno che non si fosse precedentemente affrontato il problema con la persona in nome della quale ora bisogna decidere.
Per chi deve prendere la decisione sembrerebbe che ci sia una reale scelta di vita/morte tra la quasi (se non totalmente) vana rianimazione ed il traguardo di una morte più tranquilla e dignitosa.
Raramente la domanda verrebbe posta in modo più accurato, ma meno accettabile: “Se il cuore di sua madre, durante il normale processo di morte si arrestasse, desidererebbe che, per prima cosa, lo stimolassimo elettricamente e poi esercitassimo una pressione sul suo petto (che potrebbe romperle delle costole, dato che è molto fragile) in modo da cercare, senza troppe possibilità, di farlo battere di nuovo? Anche se ciò avvenisse lei probabilmente morirebbe dopo poco, dato che il suo tempo è proprio venuto. L’alternativa è di farla essere tranquilla nel tempo che le manca e fare il possibile perché non abbia sofferenza.”
Il primo modo di porre la domanda sulla rianimazione fa sentire la famiglia nella condizione di decidere se la loro amata madre vivrà o morirà. Spesso si sente dire: “Non voglio sentirmi responsabile della morte di mia madre” oppure: “Come mi si può chiedere di uccidere mia madre?”.
L’altro termine improprio che aggiunge confusione riguardo alla rianimazione è quando la famiglia chiede un codice completo. Non ha senso parlare di un codice parziale, se non è completo non è più un codice, perché si avveri anche la più scarsa possibilità di rianimazione si deve applicare solamente il codice completo. La rianimazione cardio-polmonare sembra essere la scelta obbligata, a meno che non ci sia una chiara ed espressa volontà contraria alla rianimazione, e verrebbe eseguita anche se è chiaro che dal punto di vista clinico è controindicata, questa posizione usualmente si basa su due criteri: che la morte è visibile e che è inattesa.
La richiesta di un codice completo sarebbe l’equivalente, all’interno di un quadro di decisionalità etica, se chi deve decidere invece di scegliere tra opzioni terapeutiche possibili offerte dal sanitario, chiedesse un trattamento che non porterebbe alcun beneficio clinico.
I medici hanno il dovere etico e la responsabilità di non utilizzare terapie che ritengono prive di beneficio e, peggio, che potrebbero causare un danno, fisico/psicologico, oppure di utilizzare scorrettamente le risorse disponibili.
Generalmente non si intuba e non si utilizza il respiratore per persone che, chiaramente, stanno morendo, per soddisfare la famiglia che li vuol far arrivare all’ultimo possibile respiro. In molti casi sarebbe un’aggressione piuttosto che una cura.
La stessa richiesta può essere fatta all’approssimarsi della morte per gli antibiotici, anche se in molti casi è perfettamente chiaro per il medico che la somministrazione di antibiotici non porterebbe alcun beneficio terapeutico (per ciò che, in quel punto del percorso di malattia, è la travolgente infezione finale che accompagna o provoca la morte). Anche se, talvolta, può esserci una breve remissione con l’uso degli antibiotici, di solito subito dopo c’è un’altra infezione che è il colpo di grazia.
Anche se non è così invasiva come la rianimazione cardio-respiratoria, la terapia di un’infezione fatale che comunque ha una certa durata, può dare al trattamento un aspetto ritualistico (la fleboclisi, il cambio delle bottiglie dell’infusione, il sentire il polso, misurare la febbre e la pressione, il suono dei campanelli o degli allarmi dei monitoraggi) e rappresentare un rito di passaggio simile al pregare, al cantare inni, per aiutare il morente a raggiungere l’altro mondo.
Anche la modalità del medico di impostare la comunicazione può portare la famiglia ad avere un’unica scelta, intraprendere la terapia antibiotica: “Se a vostra madre venisse un’infezione, per esempio una polmonite, desiderate che la curiamo somministrandole antibiotici?”. Come pensare che un figlio rifiuti questa proposta, visto che fa parte delle normali conoscenze che la polmonite si guarisce con gli antibiotici? Penserebbe che anche sua madre migliorerebbe, anche se è vicina alla morte e sopravvivrebbe per un po’. Quindi anche nelle situazioni in cui la morte è l’evento atteso, la terapia antibiotica è ritualmente somministrata negli stadi finali della vita.
L’ASPETTO RITUALE DEGLI INTERVENTI MEDICI AL TERMINE DELLA VITA
In questo audace mondo moderno di tecnologie sanitarie e di una conoscenza facilmente raggiungibile e diffusa della loro disponibilità, non ci sorprende che le persone quando decidono per i loro cari, vogliano tutto ciò che la moderna medicina offre.
Ma oltre a questo naturale desiderio cosa rappresentano questi interventi sul piano del rituale del morire?
Un tempo le persone si riunivano intorno al letto del morente che era a casa, mentre ora la morte spesso avviene in ospedale o in casa di riposo. Nei reparti di terapia intensiva l’aspettativa che verrà fatto tutto il possibile per prolungare la vita è spesso una certezza, a meno che non si siano in precedenza svolti dei colloqui per stabilire una linea di condotta e per documentare per iscritto i desideri della persona, ad esempio per evitare una rianimazione cardio-polmonare in emergenza.
In assenza di una pianificazione preventiva, chiaramente espressa, verbale o scritta, è importante per la famiglia sapere che quando la fine giungerà, potranno dirsi e dire a tutti quelli che incontreranno durante i riti funebri, che tutto quello che si poteva fare è stato fatto.
Spesso si osserva che i familiari riferiscono, descrivendo gli ultimi giorni, in gran dettaglio ciò che è stato fatto per salvare il loro caro: “Sono stati utilizzati gli antibiotici più potenti, lo hanno rianimato per 4 volte, senza smettere”. Questo diventa parte della narrazione rituale della morte e compiendola la famiglia sente di aver compiuto il proprio dovere filiale, facendo tutto ciò che nel moderno mondo è atteso e possibile, non canti, candele e preghiere, ma lucine lampeggianti, bip-bip, ordini concitati, l’impressionante rianimazione con la sua strumentazione, che riempie di drammaticità il nuovo rito del morire.
Questa consapevolezza si sta facendo strada tra i medici e nella letteratura sanitaria contemporanea, inoltre la consapevolezza dei medici delle differenze e delle sfumature di culture e credenze si affaccia nei forum sanitari.
SUGGERIMENTI: COME EVITARE L’USO DELLA TECNOLOGIA MEDICA MODERNA, SE MARGINALMENTE EFFICACE, NEL FINE VITA
Dato che i riti ed i rituali utilizzati tradizionalmente e storicamente da molte culture e religioni sono stati sostituiti dalle moderne tecnologie, si possono adottare misure per evitare i risultati, spesso deludenti di tali interventi, ma presi per aiutare le famiglie a trovare la serenità dopo la morte di una persona cara.
Le varie possibilità, esplorate da molte organizzazioni sanitarie per evitare l'uso eccessivo di tecnologie mediche inappropriate e di interventi in situazioni di fine vita, sono definite genericamentepianificazione anticipata e stanno prendendo piede.Al momento si raccomandano attività informative e colloqui precoci con i familiari nella speranza che una corretta comprensione e conoscenza dia il tempo per riflettere e prendere decisioni coerenti al proprio sentire prima dell’emergenza, ciò eviterebbe l’uso di trattamenti che possono di fatto prolungare la sofferenza, senza alcun reale vantaggio.
Tuttavia il ricorso alla pianificazione anticipata delle cure non potrà proteggere dai riti e rituali della moderna tecnologia di fine vita, coloro ai quali profonde credenze religiose impongono che tutti gli interventi medici debbano essere tentati.
CONCLUSIONE
Nel corso della storia umana, i riti ed i rituali al termine della vita sono stati componenti importanti di tutte le società, culture e religioni.Fino all’avvento della medicina moderna, con tutte le sue tecnologie complesse, queste attività riguardavano principalmente i membri della famiglia e le figure religiose o culturali designate ad assistere e guidare il morente, la sua famiglia e la comunità nel processo di morte e nelle svariate attività prescritte per celebrare la vita di una persona, dopo la sua morte.
La medicina moderna ha, per molti versi, sostituito con interventi medici complessi i riti e i rituali personali, il salmodiare, i canti, la musica, ed il ricorso agli spiriti guida.Queste procedure sono spesso ciò che viene ricordato e riferito durante la "celebrazione", dopo la morte, della vita e degli ultimi giorni, ore e momenti del defunto.
I medici e gli altri operatori sanitari devono diventare più consapevoli - attraverso la partecipazione alla pianificazione anticipata delle cure e alla discussione dei valori importanti dei loro pazienti e all’ascolto attento dei commenti dei familiari nell’approssimarsi della morte - perché quello che a loro può sembrare che sia solo medicina clinica, per la famiglia del morente, potrebbe avere un profondo e duraturo effetto su come ricorderanno e racconteranno quell’importante periodo della vita ed il prologo della morte.
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