INTRODUZIONE
Negli Stati Uniti, con la generazione del Baby Boom più numerosa dei bambini di meno di 5 anni, la società nel suo complesso e chi è impegnato nel campo medico in particolare, deve prioritariamente affrontare le sfide legate all’invecchiamento.
Mentre alcune sono inevitabili, altre sono auto-indotte o potrebbero anche essere motivate dalla politica. Nonostante la scienza evolva dal livello macro al nano, c’è stata un po' di difficoltà ad abbracciare un concetto chiave: i medici possono diagnosticare la malattia da riarrangiamenti molecolari utilizzando micro serie di geni, mentre noi come società non siamo in grado di [...]
[...] pervenire alla comprensione comune che la morte è il seguito inevitabile della vita.
Ogni organismo vivente è destinato, anzi geneticamente programmato, a morire.
Eppure, nonostante tutte le nostre conquiste, né la comunità scientifica né la società nel suo insieme sono disposte ad avviare un dibattito sostenibile intorno alla morte, l'unico aspetto certo dell'esistenza.
Questa mancanza di impegno e disponibilità ad accettare, studiare, ricercare ed implementare interventi appropriati per il processo di morte ed il morire ha spesso portato ad una pessima qualità delle cure nelle ultime settimane o mesi di vita di un paziente, ad oneri finanziari elevati e a durevoli problemi psicologici per i familiari.
Gli Stati Uniti destinano più denaro e risorse all'assistenza sanitaria di qualsiasi altro paese al mondo, il 16% del prodotto interno lordo (PIL). Infatti, la quantità di denaro qui speso per l'assistenza supera il PIL totale della maggior parte dei paesi del mondo tranne la Cina, la Germania ed il Giappone. Eppure, nonostante il massiccio dispiegamento di risorse, noi non guidiamo la classifica per la maggior parte degli indici degli ambiti sanitari. Gli Stati Uniti sono in ritardo rispetto ad altri 20 paesi nell’aspettativa di vita e il loro indice di qualità della morte è inferiore a quello della maggioranza dei paesi europei sviluppati. Un terzo di tutte le uscite dei programmi finanziati con fondi federali è speso durante l'ultimo anno di vita e in questo anno, un terzo delle risorse viene speso nell'ultimo mese di vita.
SFIDE SPECIFICHE DEGLI STATI UNITI
Gli Stati Uniti sono una straordinaria società multiculturale: una moltitudine di etnie convivono, ciascuna praticando e seguendo la propria fede e l’insieme di credenze relative alla fine della vita.
Questo fatto, combinato con diversi gruppi di interesse, progressi scientifici e slogan come "vincere il cancro", "ingannare la morte" e "battere la malattia" hanno creato un clima di aspettative non realistiche tra la popolazione in generale, ma anche nell'élite più istruita.
La nostra irrealistica visione di vivere per sempre è aggravata dal fatto che consideriamo le malattie terminali e pericolose per la vita come nemici da conquistare.
La "guerra al cancro", un termine coniato durante l'amministrazione Nixon, si è trasformato in slogan moderni di battaglie contro la malattia.
Purtroppo, tutto questo rappresenta una perdita collettiva del nostro senso della realtà. In primo luogo e soprattutto, l’intrinseca natura biologica del cancro come una mutazione dei tessuti in gran parte è stata ignorata nel modo di pensare della popolazione generale. Piuttosto, il cancro è concepito come una forza nemica esterna che deve essere vinta.
Affermazioni sul “vincere” anche se ben intenzionate, possono avere esiti scioccanti, soprattutto per i pazienti che stanno "perdendo" la loro lotta, possono oscurare, o demoralizzare lo spirito umano nel suo momento più vulnerabile. Invece di riconoscere il cancro come una mutazione nel proprio corpo, il paziente sofferente si sente stigmatizzato, come se il suo spirito e la fede in una forza morale fossero valutati in base al grado di "successo" nella sua lotta contro il cancro.
Quasi sempre nei casi terminali, questo mentalità guerriera attiva un ricerca smodata di miglioramenti marginali nell’aspettativa di vita.
Purtroppo l'unica cosa superiore ai costi, avvicinandosi alla fine della vita, è il dolore e la sofferenza che il paziente terminale deve sopportare a fronte di minimi e talvolta anche inesistenti miglioramenti dell’aspettativa di vita.
Invece di affrontare la morte imminente in un ambiente confortevole, con la sofferenza gestita in modo da migliorare la qualità della vita, il paziente sperimenta quasi sempre disagio e vive i suoi ultimi giorni con una flebo in un letto d'ospedale. La prima a perderci è la persona che muore e la seconda è la società che sopporta questi costi, praticamente senza benefici (e spesso con un danno significativo) per la persona a cui avrebbero dovuto giovare.
Un’ulteriore aggravamento del problema è l'atteggiamento egoistico di molti medici curanti: si considerano come "vincitori" o "sconfitti" a seconda dell'esito del trattamento, dimenticando quasi il semplice fatto che chiunque muore a un certo punto. Infatti, i medici ed i ricercatori spesso percepiscono la morte ed il morire come un fallimento dei loro sforzi rispetto al naturale processo degenerativo.
A complicare ulteriormente la questione, qualsiasi dibattito sul compensare i medici per affrontare le cure di fine vita (EOLC) rapidamente genera aspre critiche e definizioni quali "Pannello di morte".
L'effetto è così forte e c'è una tale enfasi implicita su una quasi immortalità, come se fosse un obiettivo raggiungibile per un medico, che meno del 10% delle scuole mediche propone agli studenti una formazione sul processo della morte e del morire, e meno del 18% degli studenti e medici residenti (secondo un sondaggio) ha ricevuto un’istruzione formale sulle cure di fine vita. Circa il 39% si sentiva impreparato nell’affrontare le paure dei pazienti riguardo alla morte, e quasi il 50% si ritiene impreparato a gestire i propri sentimenti su di essa. Il 40% ritiene che i malati terminali non sono stati considerati come casi validi per l’insegnamento e che il soddisfacimento dei bisogni psicosociali dei pazienti morenti non era una competenza di base.
La Sanità negli Stati Uniti, in generale, si concentra sull’identificazione ed il trattamento dei parametri non nella norma di un individuo, piuttosto che sul trattamento complessivo di un essere umano multidimensionale. Concentrandosi sul tessuto malato, troppo spesso si è ignorato il contesto umano in cui la medicina dovrebbe essere praticata. La tipica interazione di 2 minuti tra un paziente ed il medico nell'unità di terapia intensiva (ICU), dove gli elettroliti e i parametri respiratori e cardiaci hanno la precedenza su qualsiasi altro aspetto della condizione del paziente, esemplifica il prevalere della scienza sull'umanità.
Visto come è strutturata una unità di terapia intensiva, c'è poco spazio per esplorare, capire, rispettare, o soddisfare il desiderio individuale di un paziente, il che indica un fondamentale difetto nella cultura della medicina ospedaliera che può essere affrontata solo attraverso la comprensione e l’analisi della cultura funzionale dell’ospedale.
Le conseguenze finanziarie e sociali della spesa smisurata per il fine vita abbondano.
Le ricerche indicano che i pazienti morti in terapia intensiva avevano una qualità della vita significativamente peggiore rispetto a quelli morti a casa; anche i loro familiari hanno mostrato problemi psicologici persistenti. Per di più, vi è la prova che, quando sono state presentate le cure di fine vita e la pianificazione anticipata della cura durante la comunicazione tra medico e paziente, l’accettazione dell’hospice, delle cure sintomatiche e palliative era significativamente più elevata e, di conseguenza, meno costosa.
Sicuramente, i medici che sono in grado di partecipare attivamente e rimanere "presenti" per i loro pazienti morenti - con lo stimolare ed il rispondere alle domande e trattandoli in modo che avvertano di essere importanti come gli altri esseri umani - hanno la capacità di migliorare la qualità della vita di un paziente al termine della vita.
I medici e gli oncologi si confrontano anche con problemi personali avendo a che fare con la morte ed il morire. Come indica un’ampia ricerca condotta in 3 ospedali canadesi, più della metà degli oncologi affronta sensazioni di fallimento, insicurezza, tristezza e impotenza. La sofferenza non riconosciuta di questi oncologi ha, talvolta, portato a disattenzione, impazienza, irritabilità, esaurimento emotivo e burnout. Possono prendere le distanze e ritrarsi dai pazienti vicini alla morte. Una percentuale simile di medici ha riferito che la sofferenza non affrontata ha alterato le loro decisioni di trattamento in successivi pazienti, con trattamenti più aggressivi e la riluttanza a raccomandare le cure palliative o l’hospice. Tali fattori individuali possono provocare la riluttanza anche di alcuni oncologi ad iniziare e indirizzare alle cure di fine vita.
QUESTIONI CHE INCIDONO SULLE CURE DI FINE VITA
L'Organizzazione Mondiale della Sanità ha definito le cure palliative come "un approccio che migliora la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari nell’affrontare i problemi legati ad una malattia che mette in pericolo la vita, attraverso la prevenzione e il sollievo della sofferenza".
Tuttavia, a causa di diversi fattori - tra i quali la riluttanza della società ad accettare la morte come un processo naturale, l’eccessiva medicalizzazione e l'enfasi sulla sconfitta della malattia - le discussioni sulle cure palliative restano troppo rare.
La scarsa ricerca sulle cure di fine vita rivela che un approccio multifattoriale è migliore, per affrontare la sfida di fornire adeguate cure palliative e di fine vita negli Stati Uniti. Secondo i dati pubblicati nell’ampio studio multicentrico per comprendere la prognosi e le preferenze sugli esiti ed i rischi del trattamento (SUPPORT), i medici erano in gran parte inconsapevoli delle preferenze dei loro pazienti riguardo alle cure di fine vita (ad esempio, la richiesta di non rianimare/non intubare).
I critici sostengono, a volte, che scegliere le cure di fine vita è come abbandonare i pazienti, una visione gretta, simile alla convinzione che la durata della vita è l’unica unità di misura del successo medico.
Perseguire le cure di fine vita non è affatto simile ad abbandonare i pazienti. Piuttosto, essa integra i protocolli di trattamento esistenti. Se il trattamento non riesce ed un paziente è ancora terminale, delle adeguate cure palliative dovrebbero essere un'opzione da prendere in seria considerazione. I pazienti devono sapere che hanno il diritto di scegliere tra l’estendere il trattamento che potrebbe concedere ancora qualche settimana o mese di sopravvivenza, ma con un grave impatto sulla qualità della vita, o affidarsi alle cure di fine vita, progettate per migliorare la qualità dell’ultima parte della vita.
Mentre l'autonomia del paziente è riconosciuta come una fondamentale pietra miliare della medicina, cade nel dimenticatoio quando sono implicate le cure palliative. Il più delle volte, i pazienti non hanno né valutata la necessità di pianificare la loro morte né sono pienamente informati sulle conseguenze degli interventi medici. Anche se ogni stato richiede che ai pazienti ricoverati in ospedale venga chiesto se hanno direttive anticipate, la cosa si è trasformata in una spunta sul modulo che è rapidamente compilato nell'area di triage del pronto soccorso.
Con la semplice approvazione di una legge non si determina un cambiamento culturale. I colloqui sulle direttive anticipate di cura, sulle cure palliative e di fine vita, sono molto più significativi se avvengono con una figura familiare per il paziente, quale un medico di famiglia o uno specialista coinvolto nella gestione di una malattia cronica.
PROSPETTIVE PER IL FUTURO
In sintesi, le cure di fine vita negli Stati Uniti incontrano molte sfide. In un recente rapporto, l'Istituto di Medicina ha evidenziato la portata del problema e stilato molte raccomandazioni, relative ai campi di fornitura dell’assistenza sanitaria, alla formazione professionale e al suo sviluppo, alle decisioni politiche e al loro sviluppo, all'istruzione pubblica e alla consapevolezza ed anche alla riforma dei compensi. Il rapporto ha evidenziate le carenze nell’insegnamento delle cure palliative nei programmi delle scuole per medici ed infermieri, nonché la carente capacità di comunicazione dei medici.
I fondamenti di appropriate cure di fine vita e del miglioramento della qualità della morte, sono radicati nella comunicazione medico-paziente. Migliorare la qualità complessiva della morte, per una società multiculturale come gli Stati Uniti, si basa sulla sensibilizzazione dei sanitari riguardo alle preferenze culturali ed etniche e alle credenze legate alla morte e al morire.
Educare i sanitari in questi ambiti si tradurrebbe in una maggiore fiducia ed accettazione da parte del paziente di adeguate cure di fine vita. Come detto in precedenza, una migliore comunicazione sulle direttive anticipate, sulle cure palliative e di supporto portano ad una buona accettazione delle cure di fine vita, al miglioramento della qualità della vita e alla riduzione della spesa sanitaria.
Un altro necessario e significativo passaggio è quello di rimuovere la politica dal dibattito sulle cure di fine vita. Quanto più vogliamo rispettare la libertà individuale e l'autonomia, dirottando il vero dibattito sulle cure palliative per scopi politici, non solo provochiamo un disservizio per i pazienti, ma per la società nel suo insieme. Questo può in parte spiegare perché, nonostante si spendano centinaia di miliardi di dollari, la nostra nazione è ancora indietro rispetto a molti paesi sviluppati sia sulla quantità della vita sia sulla qualità della morte.
Infine, vogliamo considerare la morte non come un fallimento per un medico, ma piuttosto come un processo naturale che ognuno di noi si troverà ad affrontare un giorno. Cerchiamo di non stigmatizzare più la morte come il nostro fallimento.
vai all'articolo originale: >> Palliative and End-of-Life Care: Issues, Challenges, and Possible Solutions in the United States - Published Online: April 17, 2015 Kashyap Patel, MD; and Mary Kruczynski