I relatori hanno detto al Fall Managed Care Forum del 2015 che un programma di cura a modalità plurime, comprendenti supporto psicologico, sociale e spirituale è importante per le cure palliative e in hospice, esso è presentato dal NAMCP Medical Directors Institute, dall'American Association of Integrated Healthcare Delivery Systems e dall’American Association of Managed Care Nurses.
Barry Kinzbrunner, responsabile medico del Vitas Healthcare, Sheryl Riley, RN, OCN, CMCN, direttrice del Clarion LLC e Susan Urba, direttore medico del Symptom Management and Supportive Care Program presso il Comprehensive Cancer Center dell'Università del Michigan, hanno discusso [...]
[...] l’invio precoce alle cure palliative, i persistenti equivoci, le considerazioni culturali e non solo durante la "Tavola rotonda oncologica sulle cure di supporto, palliative e in hospice".
La dottoressa Urba ha sottolineato che le cure palliative sono ancora malintese come cure di fine vita e per combattere questa idea sbagliata, i centri di cura stanno modificando il loro nome da cure palliative a gestione dei sintomi basata sulla ricerca.
Ciò che non aiuta è che non solo i pazienti devono essere informati su ciò che un centro di cure palliative offre, ma spesso il medico curante non comprendere appieno quello che fanno, cioè che non è solo somministrare morfina.
Ha dato rilievo ad un documento di riferimento che riscontra che il precoce invio alle cure palliative porta ad una migliore qualità della vita, a meno depressione e ad una migliore sopravvivenza per circa 2 mesi. I pazienti indirizzati precocemente ricevevano anche circa il 50% in meno di chemioterapia negli ultimi 60 giorni di vita, quando probabilmente non apporta molto aiuto, inoltre molti pazienti redigevano le loro direttive anticipate.
"[Le cure palliative] non spaventavano i pazienti e non li hanno fatti morire prima", ha detto la dottoressa Urba.
Tuttavia, il concetto di cure palliative può essere fonte di confusione dal punto di vista del paziente, ha detto la Riley. Quando rispondiamo alle domande dei pazienti, cerchiamo di far capire loro che è proprio una terapia di supporto. L’invio precoce è importante poiché al momento dell’arrivo del paziente alle cure palliative, riscontriamo che i sintomi non sono ben gestiti.
Afferma anche che "la gestione precoce dei sintomi dà ai pazienti una migliore qualità della vita". Tuttavia, i pazienti possono ancora considerare le cure palliative come "vicinissime all’hospice". Ritiene che "esso sia uno strumento meraviglioso, ma i pazienti ne hanno molta paura".
È molto importante, quando si parla di cure palliative con i pazienti, non usare l’espressione "nessun trattamento", ha detto il dottor Kinzbrunner.
Le cure palliative sono un tipo di trattamento, solo non contro la malattia primaria. Prosegue affermando che "bisogna assicurarsi che il paziente capisca che si possono fare delle cose e che ci sono strumenti per farli sentire meglio, se non altro".
La cultura è diventata una parte consistente delle cure palliative, ha aggiunto, tutto sta nel capire il punto di vista del paziente o della famiglia. Potrebbe essere la loro cultura, la loro personalità, la loro fede, o qualsiasi altra cosa. Eppure, è anche importante cogliere che gli individui all'interno di una cultura possono anche differirne, quindi i sanitari non dovrebbero dar per scontato nulla basandosi sulla cultura di appartenenza.
Il modo migliore per assicurarsi che tutto questo sia preso in considerazione dipende dall’anamnesi iniziale, facendo domande per scoprire ciò che assilla il paziente e la famiglia e ciò che è importante per loro. Il dottor Kinzbrunner ribadisce che "alla fine, spetta a loro decidere come vogliono essere curati".
Nella sua conclusione, la dottoressa Urba si concentra sul disagio e la sofferenza del caregiver e dei parenti, che possono essere trascurati nel corso dell’assistenza al paziente. Ma gli studi che indagano e quantificano ciò, hanno scoperto che può avere un effetto enorme e che, di solito, basta parlare con loro per far emergere il tutto. Dice che "emergono varie tipologie di stress, perché nessuno li aveva interpellati, tutti parlavano con il paziente".
Nella sua conclusione, il dr. Kinzbrunner ha ribadito che, quando si tratta di cure palliative, prima è meglio è, e che il modo migliore per garantire ciò è iniziare a parlarne già al momento della diagnosi. Il sanitario, il paziente e la famiglia devono procedere pensando "se" e non "quando". Inoltre, è più facile parlarne quando non si è in emergenza, perché il ricovero in hospice è considerato una situazione critica dal paziente e dalla famiglia.
Il dr. Kinzbrunner dice che "è una conversazione molto più facile all’inizio, piuttosto che quando giunge il momento" e propone questo esempio: "Spero che lei sia avviato sulla buona strada, ma cosa succederebbe se mai, nel futuro, le cose non andassero così bene: che cosa potrebbe venirle in mente? Sappia che può sempre cambiare idea col passare del tempo, ma voglio avere un'idea, da adesso, di dove vorrebbe essere o di come desidera che la sua situazione venga gestita, così saremmo più preparati se mai dovesse arrivare quel momento".
vai all'abstract: >> Creating a Supportive Environment Through the Use of Palliative Care Published Online: November 13, 2015 - Published By: Laura Joszt