Gli oppiacei per il dolore cronico: sì o no?
Lunedì 9 novembre 2015, presso la riunione annuale dell’American College of Rheumatology (ACR), un neurologo e un reumatologo sono saliti sul palco per discutere se i farmaci analgesici oppiacei facciano parte del trattamento del dolore cronico non oncologico.
Il dottor John Markman, neurologo presso il Medical Center dell'Università di Rochester, era a favore; il dottor Daniel Clauw, professore di anestesiologia, reumatologia e psichiatria presso l'Università del Michigan, si è schierato contro l'uso degli oppiacei per [...]
[...] alcuni pazienti. I relatori avevano 15 minuti per sostenere la loro idea e 5 minuti di confutazione.
Il dottor Markman ha iniziato così: "Gli oppiacei sono strumenti, come Uber qui in California, come una macchina o una pistola, in quanto tali possono essere usati bene o in modo pericoloso. Se utilizzati correttamente, possono essere incredibilmente utili".
Nonostante il titolo della sessione - “Gli oppiacei per il trattamento del dolore cronico non oncologico, uso o abuso?” - Markman ritiene che non abbia alcun senso essere pro o contro gli oppiacei, dato che la questione se i loro benefici superino i danni o viceversa, non è semplicemente bianco o nero. Dal suo punto di vista, la domanda più importante è: "Quali pazienti potranno beneficiare di questa classe di farmaci e quali no?".
Markman ha osservato che la gestione del dolore è una delle principali priorità per i pazienti con l’artrite reumatoide e ha riportato le evidenze a sostegno della terapia oppiacea, citando il fatto che, negli ultimi 20 anni circa, ci sono stati oltre 60 studi clinici controllati randomizzati sull’utilizzo di questa classe di farmaci per il dolore cronico non oncologico. Circa la metà di queste ricerche, secondo Markman, avevano un follow-up di 1 anno o più e, in generale, suggeriscono che gli oppiacei dimostrano un’efficacia ad ampio spettro nel dolore neuropatico, acuto e cronico.
"Un’area controversa nel mio campo, come nel vostro", ha continuato, "è se esista o meno, con i farmaci oppiacei, un rischio di dipendenza legato al dosaggio". Ha quindi presentato i risultati di uno studio del 2003 di Rowbotham e colleghi, pubblicato sul New England Journal of Medicine, che mostra che in 81 pazienti con dolore neuropatico cronico centrale o periferico, c'è stato un beneficio analgesico dose-dipendente. "Questo è un punto molto importante perché, come noto, negli Stati Uniti ci sono legislatori, assicuratori e altre istituzioni che stanno cercando di mettere un tetto alla dose massima giornaliera degli oppiacei."
L'attuale standard di cura del dolore è una analgesia multimodale e Markman ritiene che se i medici non includono gli oppiacei tra i possibili componenti, facciano un cattivo servizio, almeno ad alcuni dei loro pazienti.
Poi, il dottor Markman ha detto che uno dei punti che lui e il dottor Clauw avevano il compito di discutere era il ruolo degli oppiacei per la sindrome del dolore centrale cronico. "Ho lavorato in questo ambito per 20 anni e non ho idea di che cosa sia la sindrome del dolore centrale cronico", ha ammesso. "È un po' come venire alla riunione dell’American College of Rheumatology e dire che le articolazioni che sono rosse, calde e gonfie sono tutte rosse, calde e gonfie nello stesso modo." Infatti, ritiene che l'idea che ci sia una sola condizione cronica di dolore centrale sia troppo riduttiva e rappresenti una semplificazione eccessiva.
Anche se sostiene l’analgesia con i farmaci oppiacei per alcuni pazienti, Markman è ben consapevole del rischio associato a queste sostanze. "L'abuso di oppiacei è un problema colossale negli Stati Uniti in questo momento", ha commentato, mostrando un grafico che evidenzia un forte aumento del consumo di oppiacei a partire dal 1997. È stato in quel periodo, ha ricordato, che è stato lanciato un piano di marketing per gli oppiacei a lunga durata d'azione, che li presentava come sicuri.
"Alla fine ciò è stato risolto con il governo perché non era vero che fossero così sicuri, ma per 20 anni ci ha causato danni e si è trasformato in un problema devastante per il nostro Paese", ha detto il dottor Markman. "40 persone moriranno oggi a causa delle complicazioni legate agli oppiacei e 40 moriranno domani. È come se un piccolo aereo precipitasse ogni giorno. Ma ciò non toglie il valore di questi farmaci per le persone che hanno dolore cronico."
Markman ha concluso sottolineando quanto sia importante classificare i pazienti in base al rischio: informandosi sui fattori di rischio per l'abuso, l’uso improprio e quello per evasione, indagando se ci sono stati episodi pregressi di abuso o una storia di abuso da parte di un membro della famiglia, e quali sono le loro altre abitudini.
Perché gli oppiacei non fanno parte della terapia del dolore cronico
Il dottor Clauw ha preso la parola, scherzando: "Sono un amico di John Markman, quindi questo non è un fatto personale tra noi due". Poi ha analizzato alcuni dei principali problemi, secondo lui, dell'uso degli analgesici oppiacei per la gestione del dolore cronico. "Molti si prendono cura dei pazienti con dolore in ambito ospedaliero. E per il dolore acuto, gli oppiacei funzionano molto bene", ha ammesso. "In ospedale si possono monitorare gli effetti collaterali come la depressione respiratoria […] ma poi c’è stata la tendenza a pensare che questa classe di farmaci potrebbe essere efficace anche per il dolore cronico. Gli oppiacei sono molto meno efficaci per il dolore cronico."
Clauw ha poi sottolineato che quasi tutte le sperimentazioni industriali sugli oppioidi usano una modalità randomizzata con esclusione, che non dimostra l'efficacia in un'intera popolazione di persone, ma piuttosto in un sottoinsieme che inizialmente risponde ad un farmaco. "Penso che questo metodo non rispetti lo scopo di indagare su un trattamento quando si randomizzano solo le persone che all’inizio rispondono al farmaco ", ha detto. "Ci sono poche ricerche, che io sappia che abbiano utilizzato il classico metodo a gruppi paralleli per gli oppiacei che hanno mostrato efficacia nella modalità classica a gruppi paralleli."
Per il dottor Clauw un altro importante inconveniente con gli oppiacei è il fatto che spesso, quando una sostanza si dimostra efficace in una condizione di dolore cronico, l'etichettatura, a volte, rende implicito che sia efficace anche per altri tipi di dolore cronico. "Questo è molto diverso rispetto a farmaci come il pregabalin o la duloxetina che dovevano essere testati in una condizione di dolore cronico dopo una situazione di dolore cronico e che hanno ottenuto la registrazione solo per le condizioni in cui hanno agito. Se i farmaci oppiacei avessero etichette come queste, non avrei riserve sugli oppiacei", ha affermato.
In generale, come ha sottolineato il dottor Clauw, le linee guida per le condizioni di dolore centrale come la fibromialgia, il mal di testa e l’intestino irritabile hanno per decenni evitato gli oppiacei. Le linee guida per altre condizioni di dolore, come il mal di schiena e l'osteoartrite, in genere hanno incluso gli oppiacei, ma non come opzioni in prima battuta. Tuttavia, i recenti risultati mostrano che gli oppiacei sono il primo farmaco prescritto per il dolore negli Stati Uniti per il 40% del tempo e, inoltre, che il 40% dei pazienti con condizioni quali la fibromialgia assumono farmaci oppiacei.
Ha continuato dicendo: "Questo studio, pubblicato da Jenna Goesling che è qui tra il pubblico, indaga su chi sta prendendo oppiacei nella nostra clinica del dolore nel Michigan. Questo dimostra che proprio le persone in cui il consumo di oppiacei ci preoccupa, sono quelle che li utilizzano di più, le persone con alti livelli di depressione come comorbilità". Precedenti ricerche hanno dimostrato che i pazienti depressi con dolore spesso non rispondono adeguatamente agli oppiacei". Il dottor Clauw prosegue: "Hanno ancora punteggi molto alti del dolore […] queste persone probabilmente assumono questi farmaci come antidepressivi non validi e non sicuri piuttosto che prenderli veramente per il loro forte effetto analgesico.
Clauw ha anche affrontato l’epidemico cattivo uso ed abuso degli oppiacei negli Stati Uniti: "Se non si vive negli Stati Uniti, non si ha questo problema. Consumiamo così tanti oppiacei rispetto al resto del mondo che gli altri non possono avere il problema che l’abbiamo noi. "
Gli Stati Uniti hanno solo il 5% della popolazione mondiale, eppure consumano circa l'80% degli oppiacei al mondo. Gli ultimi dati, a partire dal 2013, mostrano che, quell'anno, 16.000 persone negli Stati Uniti sono morte per la prescrizione di sovradosaggi di oppiacei. Inoltre, il dottor Clauw sottolinea che questa è probabilmente una sottostima, dato che in molti Stati i certificati di morte non specificano quali agenti hanno contribuito come concausa alla morte.
Uno sfortunato sottoprodotto dell’aumentato uso degli oppiacei è che sembrano essere una frequente anticamera al consumo di eroina. Nei decenni passati, la maggior parte degli eroinomani aveva iniziato con l'eroina. Mentre, un rapporto del 2014 dell’Istituto nazionale sulla dipendenza dalla droga ha evidenziato che il 54% degli eroinomani negli Stati Uniti ha cominciato con analgesici oppiacei, principalmente avuti da amici o familiari. Un’aggravante è che spesso l'eroina è più economica degli oppiacei da prescrizione.
Anche se l'abuso e l’uso improprio degli oppiacei è più diffuso negli Stati Uniti, Clauw ha avvertito che il problema potrebbe diffondersi presto ad altri paesi: "Le aziende farmaceutiche stanno facendo quello che le compagnie del tabacco hanno fatto 10-15 anni fa. Ora che vedono che le enormi vendite negli Stati Uniti sono in pericolo a causa della crescente consapevolezza, stanno andando verso i paesi in via di sviluppo".
Perché la REMS (valutazione del rischio e strategia di mitigazione) potrebbe essere inefficace
Proseguendo, il dottor Clauw ha osservato che condizioni come la fibromialgia, la cefalea tensiva e la sindrome dell'intestino irritabile sembrano coinvolgere il dolore centralizzato e che i dati suggeriscono che i trattamenti più efficaci per queste condizioni includono la serotonina e gli inibitori della noradrenalina: i gabapentinoidi ed i farmaci triciclici.
"Non sono a conoscenza che in una di queste condizioni, gli oppiacei siano stati testati in un gruppo parallelo ed abbiano dimostrato di essere efficaci ed ampiamente raccomandati per l'uso", ha detto Clauw che poi ha presentato uno studio del suo collega Chad Brummett, ricerca che, secondo lui, conferma che l'efficacia degli oppiacei è scarsa nei pazienti con dolore centralizzato.
Lo studio ha esaminato l'uso perioperatorio degli oppiacei nei pazienti sottoposti ad artroplastica del ginocchio e dell'anca e ha scoperto che i pazienti con dolore centralizzato o sintomi tipo la fibromialgia non rispondevano bene agli oppiacei ed avevano risultati chirurgici peggiori. Clauw ritiene che questo sia dovuto al fatto che il loro dolore era, almeno in parte, centralizzato o proveniente dal cervello, quindi, l’operazione al ginocchio non può migliorare le loro ginocchia. Si è accertato che questi pazienti consumavano significativamente più oppioidi dopo l'intervento, ciò suggerisce che avvertono più dolore o che gli oppiacei non forniscono loro il sollievo desiderato.
"Una delle cose più inquietanti emerse da questi studi perioperatori compiuti da Chad è che il 7% dei pazienti che non stavano assumendo un oppioide prima dell’intervento chirurgico di sostituzione del ginocchio lo prendevano ancora continuativamente 6 mesi dopo l'intervento", ha detto Clauw. "I programmi REMS non funzionano quando la stragrande maggioranza delle persone che assumono oppiacei non hanno ricevuta una prescrizione di oppiacei specifica per il dolore cronico. L’hanno avuta dopo un intervento chirurgico, o un ricovero in pronto soccorso, o la riceveranno in uno studio medico". Il dottor Claw ha anche sottolineato che il sistema sanitario non monitora i pazienti dopo gli interventi chirurgici con un programma REMS per determinare se qualcuno, assumendo farmaci oppiacei, potrebbe rischiare di sviluppare problemi.
Clauw ritiene che gli oppiacei dovrebbero essere considerati come l'ultima opzione per alcuni tipi di dolore cronico non oncologico, ma sottolinea che però non sono usati così. "Non credo che John Markman ed io dissentiamo radicalmente e penso che ci siano persone per le quali gli oppiacei possono essere efficaci", ha riconosciuto. "Ma il problema non è chi li sta usando, chi sta diventando dipendente, chi sta morendo per il loro uso. L'uso mirato degli oppiacei nei pazienti con dolore cronico in realtà è piuttosto raro."
Per concludere, il dottor Clauw ha ribadito che i programmi REMS e altre tipologie di monitoraggio degli abusi non risolvono il problema di oppiacei. "Le persone non hanno idea che il pericolo sta nel prescrivere ossicodone o idrocodone per 60 o 90 giorni dopo un intervento chirurgico. Questo è il vero problema."
Conclusioni del dibattito
Durante il suo 5 minuti di confutazione, il dottor Markman concorda sul fatto che le strategie REMS, almeno per il momento, hanno carenze significative. Ma ha anche sottolineato che l'attuazione di una strategia di monitoraggio è il compito di tutti i medici coinvolti nel team multidisciplinare di trattamento del dolore. "Questa è la cultura che dobbiamo creare", ha detto "ma non credo che [le carenze] siano un insieme di passività professionali e di difetti […] non una proprietà degli oppiacei."
Markman poi riprende l'idea che il concetto di "sindrome del dolore centrale" è ancora per molti aspetti vago: "Non so davvero nemmeno che cosa si intenda con dolore centrale o sensibilizzazione centralizzata Tutti questi termini […] vengono utilizzati per descrivere pazienti per cui non abbiamo spiegazioni. Mi sembra che manchi un certo rigore nel dipingere questi pazienti come tutti uguali. Non è proprio così semplice."
Per quanto riguarda la critica del dottor Clauw alla progettazione della sperimentazione clinica sugli oppiacei, Markman riconosce che questi tipi di studi hanno i loro difetti, ma sottolinea che molti pazienti non tollerano gli oppiacei. "Compio studi clinici", ha spiegato "e se qualcuno non tollera un oppioide perché vomita sei volte alla settimana, non lo voglio nelle ricerca!" Detto questo, Markman ha riferito che ci sono in realtà numerosi studi randomizzati e controllati sugli oppiacei senza una strategia di arricchimento.
Markman è d'accordo che le etichette degli oppiacei dovrebbero essere modificate e anche che maggiori sforzi dovrebbero essere fatti per monitorare gli oppiacei a breve durata d'azione. Egli ritiene che i medici dovrebbero essere molto cauti quando prescrivono benzodiazepine e oppiacei e attenti a non utilizzarli come farmaci per il sonno.
"Non credo che sia stato fatto un grande sforzo per sviluppare degli oppioidi che disincentivino l’abuso", ha detto. "Credo che nei prossimi 20 anni, le aziende produttrici che vogliono distinguersi siano quelle che metteranno in commercio gli oppiacei più sicuri. Ci sono molte aziende impegnate in questa sfida, e sono contento di questa competizione."
Concludendo, Markman ritorna alla sua metafora sull’auto: "75 anni fa, c'era una società che ha deciso di concentrarsi sulle attrezzature di sicurezza delle proprie auto Quale azienda era? La Volvo che ha messo a punto la cintura di sicurezza e che è diventata sinonimo di sicurezza. Quali sono le innovazioni da portare alla terapia con gli oppiacei - che è chiaramente utile e che esiste da 2000 anni - per renderla più sicura, in modo che meno gente ne sia danneggiata e più persone possano stare meglio? ".
Alternative alla REMS
“Non sapevo che questo fosse un dibattito sulla comprensione della neurobiologia del dolore centrale" scherza il dottor Clauw all’inizio della sua confutazione. "Il prossimo anno, se desiderate invitarci a dibattere ciò, fatelo. John Markman, coraggio!"
Proseguendo, Clauw afferma che "la disincentivazione dell’abuso è una sciocchezza. Non appena un società sviluppa una formulazione per disincentivare l’abuso, i tossicodipendenti troveranno qualcos'altro. È ciò che sta accadendo con l'eroina." La sua tesi è che sviluppando formulazioni abuso-deterrenti, le aziende produttrici si sentono e sembrano più etiche. "Ma non si risolve questo tipo di problema" ha detto.
Poi torna alla REMS: "Io vivo nel mondo reale, non in quello della finzione. Non ci sarà mai un momento in cui i medici del pronto soccorso e i chirurghi utilizzeranno la REMS prima di prescrivere degli oppiacei per il dolore acuto; e qui sta il problema". Clauw ribadisce la sua idea che ora ben pochi di questi oppiacei sono utilizzati rispettando la prescrizione iniziale e ha citato le nuove linee guida del Centers for Disease Control and Prevention, che limitano la somministrazione degli oppiacei a 3 giorni per le persone sottoposte a determinate procedure. Questo è un passo importante nella giusta direzione.
"Sapete quali sono le ragioni 1, 2, 3, e 4 per cui i chirurghi prescrivono 90 giorni di ossicodone o idrocodone?" ha chiesto al pubblico. "Perché non vogliono essere richiamati e gli oppiacei finiscono nell’armadietto dei medicinali."
Bret S. Stetka, MD - |December 10, 2015
References
- Clauw DJ, Markman J. Opioids for the treatment of chronic non cancer pain… use or abuse? Program and abstracts of the American College of Rheumatology 2015 Annual Meeting; November 7-11, 2015; San Francisco, California. ARHP Debate.
- Rowbotham MC, Twilling L, Davies PS, Reisner L, Taylor K, Mohr D. Oral opioid therapy for chronic peripheral and central neuropathic pain. N Engl J Med. 2003;348:1223-1232. Abstract
- Goesling J, Henry MJ, Moser SE, et al. Symptoms of depression are associated with opioid use regardless of pain severity and physical functioning among treatment-seeking patients with chronic pain. J Pain. 2015;16:844-851. Abstract
- Wasan AD, Michna E, Edwards RR, et al. Psychiatric comorbidity is associated prospectively with diminished opioid analgesia and increased opioid misuse in patients with chronic low back pain. Anesthesiology. 2015;123:861-872. Abstract
- Brummett CM, Janda AM, Schueller CM, et al. Survey criteria for fibromyalgia independently predict increased postoperative opioid consumption after lower-extremity joint arthroplasty: a prospective, observational cohort study. Anesthesiology. 2013;119:1434-1443. Abstract